Non basta la riduzione delle tutele per i lavoratori a cui viene proposto il rinnovo di un contratto precario, già prevista nel decreto Lavoro varato dal governo Meloni il Primo maggio. Secondo Forza Italia, spalleggiata da Autonomie e Azione-Italia viva, la liberalizzazione del lavoro a termine da tempo invocata da Confindustria deve essere accompagnata da un ulteriore regalo alle imprese: l’azzeramento del contributo addizionale che i datori devono versare all’Inps per i dipendenti non stabili. A prevederlo sono gli identici emendamenti presentati in commissione Affari sociali del Senato da Licia Ronzulli (FI) nonché Dafne Musolino (eletta in Sicilia per Sud chiama Nord di Cateno De Luca) e Daniela Sbrollini (Iv).

Al momento il contributo addizionale introdotto nel 2012 dalla legge Fornero ammonta all’1,4% della retribuzione imponibile a fini previdenziali, cifra che dopo il decreto Dignità è stata maggiorata di 0,5 punti a ogni rinnovo del contratto. Arrivando per esempio al 2,4% al secondo e al 2,9% al terzo. Non si applica se il lavoratore ne sostituisce un altro assente né agli stagionali, ai precari assunti dalla pa e agli apprendisti. Il ricavato va a finanziare l’indennità di disoccupazione Naspi ma si tratta soprattutto di un piccolo modo concreto per rendere meno conveniente il ricorso al precariato e favorire le stabilizzazioni, anche perché il contributo viene restituito in caso di trasformazione del contratto in un rapporto stabile. Se le proposte di maggioranza e renziani passassero, si creerebbe in base ai calcoli di Ronzulli un ammanco di 20 milioni di euro l’anno da coprire, stando al suo emendamento, riducendo il Fondo per gli interventi strutturali di politica economica. Lo Stato, insomma, spenderebbe per favorire assunzioni a termine.

Tutta la maggioranza si cimenta anche nel tentativo di peggiorare ulteriormente la nuova causale introdotta dal decreto, quella che consente di stipulare o rinnovare un contratto a termine in presenza di “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti“. Una previsione che, nella versione originaria, mette sullo stesso piano datore e lavoratore – le “parti” – come se il secondo fosse in condizioni di contestare le motivazioni addotte dall’azienda per non stabilizzarlo. Emendamenti a prima firma Elena Murelli (Lega) e Francesco Silvestro (FI) chiedono che a decidere sia solo il datore di lavoro o che sia eliminata tour court l’indicazione di chi deve individuare le “esigenze”. Nei fatti cambierebbe poco, ma la proposta fa cadere il velo sull’obiettivo di lasciare mano libera alle imprese. Senza risolvere, fa notare, il giuslavorista Vincenzo Martino, il problema dell’inevitabile aumento del contenzioso: visto che in corsa è stata eliminata la possibilità che la nuova causale siano “bollinate” dai consulenti del lavoro, sarà facile che una volta lasciato a casa il lavoratore faccia causa per rivendicare l’assunzione stabile. Un gruppo di senatori di Fratelli d’Italia capeggiati da Elena Leonardi fa un passo in più e chiede che la causale “fatta in casa” sia strutturale e non valga solo fino al 30 aprile 2024 come prevede il testo iniziale del decreto. La leghista Murelli prevede anche un’unificazione della disciplina di proroghe e rinnovi: anche questi ultimi diventerebbero liberi (senza necessità di causali) nei primi 12 mesi di contratto.

Le opposizioni hanno invece chiesto di sopprimere l’intero articolo sul lavoro a termine o eliminare la causale relativa alle esigenze individuate dalle parti preservando però quelle “previste dai contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle Organizzazioni Sindacali comparativamente più rappresentative”. Un emendamento di Sandra Zampa, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e altri deputati Pd tenta poi di aumentare il contributo addizionale sui contratti a termine al 2,8% se la durata è inferiore e 3 mesi e 4,5% se non arriva a un mese, per scoraggiare il precariato spinto. È stato cassato perché “improponibile” l’emendamento a prima firma Patuanelli (M5s) che puntava all’introduzione di un salario minimo di 9 euro lordi all’ora.

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