“Pronto, senti fratello, loro sono arrivati a una quota. Hanno chiesto a tizio dove si trovano, il tizio gli ha detto che stanno ancora in Italia, non c’è la strada nella vicinanza e per scendere dall’altezza ci mettono cinque ore. Non hanno né cibo né acqua. Dicono venite a prenderci”.

“Ma perché non hanno detto prima? Io sono molto lontano…”.

“Fratello, tu sei in macchina e sei stanco. Immagina loro dalle 6 di mattina che camminano. Non hanno nemmeno acqua, sono affamati”.

“Senti fratello, ancora non mi avete dato i soldi”.

“Fratello, ma le vite delle persone sono più importanti di soldi?”.

“Tu dici che la loro vita è importante per te, e perché non mi dai i soldi?”.

Era spregiudicato Mohammad Younos Yawar, uno dei quattro cittadini afghani arrestati martedì dai carabinieri nell’ambito dell’operazione “Parepidemos” per traffico di esseri umani. Nei suoi confronti, il gip di Reggio Calabria Vincenzo Quaranta ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Giuseppe Lombardo e della sostituta della Direzione distrettuale antimafia Sara Amerio. Assieme a Yawar sono stati arrestati altri tre afghani, Mohammad Salim Ghafouri, Narbhai Ahmadi e Mohammad Javid Attae. Quest’ultimo è stato catturato in Germania, ad Hanau, mentre gli altri sono stati arrestati in Francia, a La Rochelle e a Marsiglia. Le ipotesi di reato sono favoreggiamento pluriaggravato dell’immigrazione clandestina ed esercizio abusivo dell’intermediazione finanziaria. Secondo il gip, gli indagati facevano parte di “un sistema organizzato transnazionale che gestiva e assicurava l’ingresso clandestino e illegale di migranti in vari Paesi europei”. L’inchiesta è iniziata nell’ottobre 2020 quando, a seguito dell’aumento del numero di sbarchi registrato sulla Locride, i carabinieri del Reparto operativo guidati dal colonnello Massimiliano Galasso hanno verificato la probabile sussistenza di una rete di trafficanti di esseri umani.

Grazie alla segnalazione di un cittadino, i militari dell’Arma avevano notato a Bova Marina uno dei quattro arrestati, Mohammad Younos Yawar, considerato il personaggio centrale del sistema. Era alla guida di un furgone Mercedes con targa francese. Partito da La Rochelle, aveva attraversato l’Italia e si trovava nella cittadina della provincia jonica reggina, nei pressi di un centro di accoglienza dove i migranti appena sbarcati, durante il periodo della pandemia, venivano tenuti in isolamento sanitario temporaneo. Sfuggito ai controlli e fatti salire i connazionali sul furgone, l’afghano ha percorso tutta l’Italia, facendo tappa in Abruzzo, in Lombardia e in Liguria, fino a uscire dal Paese. Prima di fare ingresso nel traforo del Frejus, però, il furgone ha fatto almeno un paio di soste che, probabilmente, sono servite per abbandonare i migranti in una zona di montagna. Fermato dai carabinieri della stazione di Bardonecchia, prima di entrare in Francia, Mohammad Younos Yawar era l’unico occupante del mezzo, anche se, in seguito alla perquisizione, veniva accertata la presenza sui sedili posteriori di alcuni bagagli, dentro i quali venivano rinvenuti pannolini per bambini ed altri vestiti chiaramente non appartenenti all’indagato. All’interno del furgone, inoltre, è stato trovato un vano, creato ad hoc nella parte posteriore, per nascondere le persone.

In sostanza, i migranti viaggiavano in uno stato di “totale precarietà e in spregio alle più basilari regole di sicurezza”: gli uomini venivano fatti sdraiare “nel bagagliaio del veicolo, nascosti sotto una trave mentre una donna e tre bambini giacevano su una cuccetta improvvisata”, si legge nell’ordinanza. E se l’afghano si apprestava a oltrepassare il confine attraversando il traforo del Frejus, i migranti, tra cui alcuni neonati, dovevano farlo a piedi, passando per le montagne. Sono stati lasciati d’inverno sulle Alpi innevate, senz’acqua né cibo, a camminare per ore in mezzo alla foresta, di notte. Le intercettazioni non lasciano spazio a dubbi e hanno registrato la voce degli stessi migranti che, più volte, lo hanno chiamato pregandolo di andarli a prendere: “Dobbiamo ancora passare la montagna, dopo di che arriveremo in Francia. Però lì c’è una foresta molto pericolosa, qui dicono che ci sono le tigri e i leoni. Volevo dire che vieni a prenderci dalla foresta”.

Le risposte di Younos erano sempre le stesse: “Senti fratello, cosi mi fai arrabbiare perché io ho già speso i soldi (ho fatto la benzina), prima tu manda 1.300 euro nel conto del mio cugino adesso… io voglio solo i miei soldi”. E quando il parente di un migrante gli ha fatto notare che li avrebbe dovuti accompagnare in Germania (“Noi ci siamo messi d’accordo per Francoforte non per l’Italia. Tu li hai distrutti, li hai lasciati sulla montagna, ma sei pazzo? ubriaco? che cosa sei? e vuoi i soldi”), il trafficante di uomini ha ribadito il concetto: “Ora vado a prenderli se mi date 1.300 euro”. Per il gip Quaranta, i quattro afgani arrestati sono “spregiudicati delinquenti, criminali, che per danaro mettono a rischio vite umane, incuranti anche della presenza di minori e talora di neonati”. Per questo il pm Amerio contesta agli indagati l’aggravante di aver esposto le persone trasportate a pericolo per la loro vita. Per averli nascosti nel furgone, è stata contestata pure l’aggravante di avere riservato ai migranti un trattamento inumano e degradante.

Grazie alla collaborazione delle agenzie europee Eurojust ed Europol, carabinieri e Dda sono riusciti a ricostruire la filiera criminale di immigrazione clandestina localizzata in Turchia, Italia, Francia e Germania. Se l’afgano Yawar è ritenuto, dai magistrati, il “promotore, organizzatore e autista del gruppo di trafficanti”, Mohammad Salim Ghafouri avrebbe svolto il ruolo di “intermediario” con i parenti dei migranti trasportati dalla Calabria alla Francia. È proprio Salim, infatti, che in un’intercettazione spiega all’autista del furgone, Younos, che deve farsi pagare dai migranti prima e non dopo averli recuperati in montagna: “Appena ricevi i soldi, inizia ad accompagnare altrimenti non fare nulla. Perché sono molto furbi… Ascolta, prima prendi i tuoi soldi e poi falli passare”. Chi riusciva a raggiungere la Francia sarebbe stato ospitato a Marsiglia dall’indagato Narbhai Ahmadi mentre, in Germania, Mohammad Javid Attae sarebbe stato il terminale delle somme erogate a titolo di compenso per il viaggio.

L’inchiesta ha dimostrato che esisteva un “tariffario”: ogni migrante, infatti, doveva versare 1.500 euro per il servizio di trasporto dalla località in cui avveniva lo sbarco fino alla Francia. Soldi che, stando alle indagini dei carabinieri, sono stati trasferiti con il metodo “hawala”, un sistema considerato ancora legale in alcuni Stati dell’Asia e del Medio Oriente, ma non in Europa, in quanto basato sul brokeraggio informale e su relazioni non contrattuali (da qui l’accusa di esercizio abusivo dell’intermediazione finanziaria). “Gli elementi di indagine”, scrive il gip nell’ordinanza, “hanno consentito di accertare, senza possibilità di smentita, come i quattro indagati siano inseriti in una rete organizzata di più ampio respiro che gestisce una complessa attività diretta a favorire, assicurare, dietro corrispettivo l’ingresso di clandestini in Italia e in altri Paesi europei (in particolare Francia e Germania). Non si può affatto dubitare che gli odierni indagati siano legati alla rete di soggetti che gestisce il trasferimento dei clandestini dai loro Paesi di origine alle coste italiane”.

Articolo Precedente

Omicidio Tramontano, l’avvocato dei genitori di Giulia: “Si sono subito insospettiti, Impagnatiello rispondeva in modo vago”

next
Articolo Successivo

“D’Alema e Profumo indagati e perquisiti per la vendita di navi e aerei militari alla Colombia”. Il ruolo di “mediatore informale” dell’ex premier

next