Non ci sono più parole, restiamo afone di fronte all’ennesimo atroce femminicidio, di fronte alla morte di Giulia Tramontano, uccisa dal suo partner al settimo mese di gravidanza. Non ci sono parole perché ormai su questa sopraffazione contro le donne si è detto tutto, se ne continua a parlare, si propongono studi, ricerche e risposte ad un problema che continua ad essere enorme, immenso e irrisolto: nel 2022 sono state 120 le donne uccise per femminicidio.

Da anni predichiamo che ci vuole una vera effettiva educazione ai sentimenti, alla parità e che parta dai bambini in età prescolare, perché dopo sappiamo è troppo tardi, i modelli culturali sono già introiettati ed è difficile sradicarli.

Da anni chiediamo che i centri antiviolenza siano messi nelle condizioni di svolgere il loro lavoro con risorse stabili e continue, che le operatrici non debbano passare parte del loro tempo a cercare e a rispondere a bandi per finanziarsi e che possano dedicarsi anche a fare prevenzione. Perché i centri antiviolenza sono importanti ma sono la risposta a quando la violenza è già avvenuta.

Da anni ci battiamo perché la narrazione di questi fatti sui media non sia una nuova vittimizzazione delle donne, che i racconti e i titoli non siano ancora troppo orientati a cercare giustificazioni, a guardare a quell’atroce episodio troppo dal punto di vista di lui.
Da anni pensiamo che sia importante prevedere una formazione specifica sulla violenza di tutte quelle persone che a vario titolo si occupano della violenza contro le donne: medici, forze dell’ordine, avvocatura e magistratura perché non vogliamo più assistere a sentenze che non solo non rendono giustizia alle vittime e ai loro familiari, ma che non aiutano certamente a produrre quel cambiamento culturale tanto auspicato.

Tutto questo però è strettamente legato al vero nodo del problema e cioè che i femminicidi sono una diretta conseguenza della società patriarcale in cui viviamo. Il vero vulnus è quello e finché continueremo a vivere in un mondo dove le discriminazioni di genere permeano tutto il tessuto sociale, le donne continueranno a morire all’interno delle mura domestiche e per mano di chi ha un rapporto sentimentale con loro.

Lo sappiamo, ormai è assodato e la stessa dichiarazione adottata dall’Assemblea Generale dell’Onu parla della violenza di genere come di “uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini” e questo si chiama: patriarcato.

La più grande delle discriminazioni contro le donne è la somma di tutte le altre discriminazioni che le donne subiscono e sino a quando la nostra società non cambierà e non attuerà politiche sociali, economiche, culturali che non discriminino le donne, che attuino una vera parità, quello delle donne uccise per mano di un uomo sarà sempre un numero destinato a non diminuire o addirittura a salire.

Tutto il resto, a mio avviso, sono “palliativi” che non vanno alla radice del problema: consigliare alle donne, come ha fatto la procuratrice aggiunta che si occupa del caso, Letizia Mannella, di non andare mai all’incontro della spiegazione, o di sapere “che non c’è niente che valga la pena ricucire, se l’uomo da cui aspetti un figlio al settimo mese ha avuto una vita parallela, indotto l’amante ad abortire, delegittimato te con calunnie e bugie pur di continuare ad avere tutto” come ha scritto Annalisa Cuzzocrea, non lo trovo risolutivo.

Prima di tutto perché, come è successo in tantissimi casi, un uomo che premediti di uccidere la sua partner escogita i più svariati modi per mettere in atto la sua volontà omicida: appostamenti sotto casa, al lavoro, in questi anni abbiamo visto le più diverse tecniche per raggiungere lo scopo: non basta certo rifiutare l’ultima spiegazione per essere al riparo. E non sappiamo quali fossero le intenzioni di Giulia, se volesse effettivamente “ricucire”, tentare una spiegazione con quello che in fondo era il padre del suo bambino.

E poi perché partire dal presupposto che sia sempre la donna a doversi difendere, a dovere in qualche modo limitare la sua libertà d’azione, a dover rinunciare anche ad una semplice spiegazione, anche quando non ci sono stati fatti che possano portarla a pensare che è in pericolo. In fondo, in questo, come in altri casi, l’omicida non era stato violento, non risultano denunce di maltrattamenti verso la sua fidanzata. Allora dobbiamo sempre noi stare in guardia? Quanti potenziali Alessandro Impagnatiello ci sono in giro? Basta un tradimento, un’altra relazione per dover avere paura del proprio marito, fidanzato, compagno?

Questo ennesimo femminicidio, come tutti gli altri, ma forse ancora più terribile ai nostri occhi per le modalità, il contesto e perché Giulia Tramontano si stava apprestando ad accogliere una nuova vita, ci lascia sgomente, ma non deve confondere quello che ormai è una realtà: il patriarcato è il vero movente di tutte queste morti.