Terremoto Partido Popular, tsunami Pedro Sánchez, in 48 ore che hanno cambiato il prossimo futuro della Spagna.

Le elezioni del 28 maggio scorso hanno dato un verdetto netto, la vittoria schiacciante delle destre di fronte alla divisione, agli errori e ai troppi egocentrismi di una sinistra che sprofonda. Bisognava testare l’elettorato in vista della fine della 14esima legislatura (iniziata il 3 dicembre 2019) e per il primo ministro Pedro Sánchez, segretario del Partito Socialista Operaio Spagnolo – Psoe, le votazioni autonomiche e comunali erano un importante banco di prova. Negli ultimi mesi il suo partito aveva dovuto fare i conti con degli alleati scomodi e chiassosi, in primis con quel Podemos che gli ha permesso di formare 4 anni fa il primo governo di alleanza della Spagna postfranchista (il bipartitismo veniva rotto nel dicembre 2015 con l’incursione nel panorama politico di Ciudadanos e Podemos).

Leggi controverse, scontri interni al governo per l’invio di armi in Ucraina e l’indulto ai prigionieri del procés in Catalogna per aprire un nuovo tempo di dialogo: sono solo alcuni dei problemi che hanno caratterizzato una legislatura che ha dovuto affrontare anche la pandemia da Covid-19 e dove il governo ha avuto ben 5 “rimodellazioni” . Ora Podemos è in caduta libera, con un Pablo Iglesias teoricamente fuori dal partito ma che continua a dettare la linea e con delle chiare divisioni interne stimolate anche dal progetto di Yolanda Díaz, quella piattaforma dal nome evocativo “Sumar” (Sommare, nel senso di unirsi) che vuole convogliare tutte le forze a sinistra del Psoe.

Sánchez ha assunto in prima persona la sconfitta nelle elezioni, dove la somma dei voti a livello nazionale consegna un 31,5% al Pp e solo un 28% al Psoe. A questo va aggiunto il grande risultato di Vox (partito di estrema destra guidato a livello nazionale da Santiago Abascal) che ha sommato più di 1,5 milioni di voti, ottenendo un 7,2%. Di fronte a questo scenario di chiara tendenza di rafforzamento a livello nazionale dei due partiti di destra, Sánchez ha giocato il tutto per tutto e poche ore dopo la drammatica (per la sinistra) notte di domenica, ha fatto un passo inaspettato: scioglimento delle camere ed elezioni anticipate al 23 luglio.

Un mossa audace (Sánchez non è nuovo a manovre politiche di alto rischio e fece lo stesso nel 2019) che ha colpo tutti di sorpresa, soprattutto i suoi alleati di governo che ora sono davvero alle corde. Sì, perché di fronte ad una “debacle” senza attenuanti di Podemos e in generale delle forze a sinistra del Psoe, Sánchez chiama all’unità nelle elezioni parlamentari per impedire che l’ondata di destra (Pp in alleanza con Vox) possa governare la Spagna. Un vero e proprio appello corale quello del segretario del partito socialista, che invita l’elettorato di sinistra a fare fronte comune e a dare un voto utile per fermare “l’oscurantismo verde-blu” (i colori di Vox e del Pp).

Ora Podemos e Sumar avranno pochi giorni per trovare un accordo sulle candidature e molti elettori di sinistra saranno spinti a votare Psoe per riuscire a creare quel muro di contenimento sul quale spera Sánchez. I prossimi 54 giorni saranno dunque decisivi per il futuro della Spagna, giorni nei quali ognuna delle forze politiche dovrà misurare molto bene i suoi passi. La strategia di Pedro Sánchez è chiara: frenare da un lato l’asceso del Pp anticipando il voto, convocare elezioni mentre le destre litigano per formare i governi autonomici e municipali (dove in molti casi dovranno governare in alleanza), raggruppare il voto di sinistra e riuscire a togliersi di dosso il peso di dover governare con Podemos. Una tattica ben studiata che però potrebbe avere dei grossi punti deboli. Tra questi il fatto che per la prima volta in Spagna si voterà in piena estate con un’alta possibilità di astensionismo (che storicamente favorisce la destra) e che le nuove elezioni possano essere una conferma di quanto appena successo.

Ma facciamo un passo indietro. Domenica 28 maggio in Spagna si sono celebrate le elezioni autonomiche e comunali, un giorno di votazioni che ha sancito una vittoria cristallina e indiscutibile delle forze di destra a livello territoriale. Si è votato in 12 delle 17 comunità autonomiche (le nostre regioni), nelle città a statuto speciale di Ceuta e Melilla e in 8131 comuni, in un appuntamento elettorale che avrebbe dovuto dare un assaggio delle elezioni parlamentari previste per fine anno. Il Pp (Partito Popular, guidato a livello nazionale da Alberto Núñez Feijóo) ha raccolto un ampio consenso dei votanti, arrivando in molti casi ad ottenere la maggioranza assoluta. Delle 12 comunità autonomiche contese domenica scorsa, Asturie, Aragona, Isole Baleari, Isole Canarie, Comunità Valenciana, Estremadura, Castiglia La Mancia, La Rioja e Navarra erano governate dal Psoe, la Comunità di Madrid e Murcia dal Pp, mentre la Cantabria era governata dal Partito Regionalista di Cantabria – Prc.

I risultati delle elezioni portano al Pp i governi di Aragona, delle Isole Baleari, della Comunità Valenciana e de La Rioja, mentre in Cantabria potrebbe riuscire a governare se facesse un’alleanza con l’altra forza politica che è uscita rafforzata da questi comizi elettorali: l’estrema destra di Vox. Il Psoe salva le Asturie, le Isole Canarie, Estremadura, Castiglia La Mancia e Navarra, ma accusa un forte colpo considerando per esempio che il Pp ha ottenuto la maggioranza assoluta non solo nella comunità autonoma di Madrid con Isabel Natividad Díaz Ayuso (la governatrice uscente), ma anche nella propria città capitale con José Luis Martínez-Almeida, riconfermato come sindaco.

E come detto anche per le capitali di provincia il risultato è stato lo stesso. Il Pp governerà ora in 30 dei 52 capoluoghi di provincia, visto che domenica scorsa ne ha strappati ben 14 al Psoe, anche in veri e propri “bastioni rossi” come nelle regioni di Andalusia, Aragona, Comunità Valenciana e Castilla La Mancia. Rimangono in bilico i Paesi Baschi e la Catalogna (dove Ada Colau he perso le elezioni e non è stata riconfermata come sindaco), dove saranno le varie alleanze delle prossime settimane a determinare chi governerà.

Come visto però, le elezioni si nascondono con altre elezioni e così da ieri ogni giornale parla ora solo dell’anticipo elettorale, riportando Sánchez in prima pagina. Dal canto suo Feijóo parla di “derogar al sanchismo” (derogare le politiche di Sánchéz) e si fa forte di una tendenza che si è manifestata in dati e voti. Alla finestra rimane anche Bruxelles, visto che dal 1 di luglio la Spagna dovrà assumere la presidenza dell’Unione europea: con che governo però si saprà solo 20 giorni dopo quello storico e cruciale appuntamento.

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