Cinema

I pugni in tasca di Marco Bellocchio avrà un remake

di Davide Turrini

Uno spettro si aggira nel futuro del cinema: il remake de I pugni in tasca di Marco Bellocchio. Per carità, se serve a tenere aperta la porta anche di una sola sala dove si gode il panorama più bello del mondo che girino pure anche un sequel, un reboot e aggiungano anche tre etti di Diavolo in corpo e due de La Cina è vicina. Il problema di fondo, però, rispetto a questo scippo storico creativo, a questo pompaggio di culture e urgenze altrui, risiede oramai in quella che possiamo definire la vuota plastificazione auto celebrativa dell’art house. Un atteggiamento culturale di una certa produzione di nicchia che cerca conferme ontologiche in un generico, modaiolo, colorato impegno che nel 99% dei casi rimane in superficie rispetto a qualsiasi storia o messa in scena.

Intanto, iniziamo con la notizia pubblicata da The Hollywood Reporter. Match Factory e MUBI hanno acquisito i diritti del film del 1965 dalla Kavac Film e hanno in progetto di affidare la regia del remake al regista brasiliano Karim Ainouz, lo script al greco Efthimis Filippou (sceneggiatore di Yorghos Lanthimos per Dogtooth, Il sacrificio del cervo sacro, The lobate) e l’utilizzo – nel caso poi venissero confermati – di tre attori peraltro molto interessanti: Kristen Stewart, Elle Fanning e Josh O’Connor. I pugni in tasca è l’opera prima fulminante, inquieta, devastante di Marco Bellocchio datata 1965. Un’epopea familiare nerissima e tragica, dove viene messa in radicale discussione l’istituzione familiare, simbolica norma oppressiva, in una sorta di messaggio pre sessantottino e proto libertario.

Insomma un ciclone potentissimo e perturbante che si somma agli esordi di Pasolini e Bertolucci dei primi anni sessanta, rinverdisce un’idea low budget, realistica e gerarchica di produzione autoriale alla Nouvelle Vague oltre le Alpi, per un’industria cinematografica italiana rodatissima all’epoca che non digerì quei pugni in tasca sì, ma pugni che rimasero comunque ben vibranti nell’aria della contestazione anche cinematografica che verrà. Industria che di fondo mai amerà Bellocchio e il suo cinema fino ai tempi della (ri)nascita post Mssimo Fagioli del regista piacentino di fine ottanta. Insomma I pugni in tasca è un film certamente universale nel suo dichiararsi contro un sistema di valori tradizionali, ma è soprattutto ancorato a peculiarità storiche, geografiche, antropologiche, finanche meramente estetiche che l’hanno reso un piccolo capolavoro di ammirabile audacia. Ecco, appunto, a che serve un remake di un film del genere? Oltre alla originaria uccisione della madre e di quella folle ossessionante irrequietezza che Lou Castel propone per tutto il film cos’altro può servire riappropriarsi di quella storia e di quell’idea? Uccideranno il padre? e lo faranno in qualche calanco greco o brasiliano? Dai rumors sul cast al posto di tre fratelli e una sorella potrebbero esserci tre sorelle e un fratello, ma a che pro? La donna che si ribella alla norma familiare? A questo punto riscrivi un film daccapo e fai prima, no? Ovunque la si srotoli questa faccenda del dragare idee geniali e dirompenti dal passato per rimasticarle sottolineando quanto si è intellettualmente all’avanguardia oggi ha il fiato cortissimo. Forse anche per questo l’art house che mima le Nouvelle Vague e la New Hollywood arriva spompato e flaccido all’appuntamento decisivo dello streaming che si mangia le sale (sempre che questo remake in sala ci finisca…).

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