A poche ore dall’avvio delle elezioni in Turchia i sondaggi continuano a parlare di un testa e testa tra i due principali candidati, Recep Tayyip Erdogan e Kemal Kilicdaroglu, e di un possibile secondo turno il 28 maggio. Kilicdaroglu, leader del partito kemalista Chp e candidato dell’opposizione riunitasi nel Tavolo dei sei, continua però a guadagnare punti. Secondo l’istituto di ricerca MetroPoll sarebbe ormai al 49.04%, pochi punti sopra il presidente uscente che è invece fermo al 46.9%.

L’opposizione dunque sembra avere buone speranze di vittoria, soprattutto dopo il ritiro a sorpresa della candidatura di Muharrem Ince, ex leader del Chp e oggi a capo del Partito della Patria che aveva riscosso particolare successo nei giovani. Stando alle ultime rivelazioni il suo gradimento era crollato dall’8% al 2%, ma in una corsa alla presidenza così serrata anche quella piccola percentuale potrebbe giocare a favore di uno o dell’altro candidato. Con molta probabilità quei voti dovrebbero andare all’opposizione, ma le elezioni in Turchia continuano a riservare sorprese fino all’ultimo minuto.

Di certo il clima in cui si aprono queste storiche votazioni è particolarmente teso, dopo una campagna elettorale che ha visto Erdogan lanciare accuse pesanti contro l’opposizione, contribuendo così a polarizzare ulteriormente l’elettorato. Il leader di Giustizia e Sviluppo (Akp) ha ricordato ai cittadini i successi raggiunti dal suo governo negli ultimi venti anni, promettendo un futuro ancora più radioso in caso di una sua rielezione, mentre ha descritto la sua possibile sconfitta come una condanna per la Turchia.

Secondo il presidente uscente, l’opposizione rappresenta una minaccia ai valori conservatori e religiosi in quanto formata da persone vicine all’occidente, promotrici dei valori Lgbtq o più semplicemente “da ubriaconi” pronti a festeggiare la vittoria con fiumi di alcol. Ma Kilicdaroglu è anche una minaccia all’integrità territoriale e all’indipendenza della Turchia. Nell’immaginario di Erdogan, l’opposizione avrebbe intenzione di accogliere le istanze autonomiste della componente curda, dividendo pertanto il Paese e consegnandone una parte a un gruppo che per Erdogan rappresenta da anni una minaccia alla sicurezza della Turchia. Da qui l’accusa, mossa sempre contro Kilicdaroglu, di essere sostenuto in queste elezioni dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) considerato in Turchia un’organizzazione terroristica.

Alla violenza verbale, però, ha fatto seguito anche quella fisica. Sia Kilicdaroglu che il sindaco di Istanbul e possibile vicepresidente, Ekrem Imamoglu, sono stati aggrediti pubblicamente a pochi giorni dal voto. Nonostante ciò, il leader dell’opposizione ha invitato ancora una volta alla calma, continuando a usare toni conciliatori e assumendo un atteggiamento ben diverso rispetto a quello del suo avversario. Kilicdaroglu d’altronde è stato spesso descritto come il rappresentante del “potere calmo” e ha puntato su discorsi inclusivi e non provocatori per distinguersi il più possibile da Erdogan. Le scelte di comunicazione fatte dal leader del Tavolo dei sei hanno certamente dato i loro frutti stando agli ultimi risultati dei sondaggi.

Alla vigilia delle elezioni però ci sono due domande che gli elettori si pongono. Erdogan rinuncerà davvero al potere in caso di sconfitta? E l’opposizione, così variegata al suo interno, riuscirà a mantenere le promesse fatte? Il presidente uscente ha più volte affermato che il suo Paese non permetterà a una persona come Kilicdaroglu di governare e nel 2019 ha già usato il controllo sulla magistratura per mettere in discussione il risultato delle elezioni. Lo stesso scenario potrebbe riproporsi nel 2023, soprattutto in caso di una sconfitta di soli pochi punti, ma non è da escludere nemmeno un nuovo giro di vite tra una votazione e l’altra in caso di ballottaggio. Molto in quel caso dipenderà anche dalla magistratura e dal Consiglio elettorale supremo che non sembra però più disposto a sottostare a un presidente non più all’apice della popolarità.

Anche la vittoria dell’opposizione e una transizione pacifica dei poteri però non sono una garanzia di stabilità. La coalizione di sinistra è formata da partiti molto variegati e già ci si interroga sulla sua possibile tenuta, soprattutto nel momento in cui ci sarà da implementare un nuovo modello economico. Il futuro della Turchia è ancora tutto da scrivere.

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