Nell’ambito della sua campagna “Ban the Scan”, il 2 maggio Amnesty International ha pubblicato un rapporto intitolato “Apartheid automatizzato”, in cui denuncia che le autorità israeliane stanno usando un sistema sperimentale di riconoscimento facciale, noto come “Red wolf”, per tracciare i palestinesi e automatizzare gravi limitazioni alla loro libertà di movimento.

Questa sorveglianza fa parte del deliberato tentativo, da parte delle autorità israeliane, di creare un clima ostile e coercitivo nei confronti dei palestinesi: l’acquisizione illegale di dati biometrici serve a monitorare e controllare i movimenti dei palestinesi; le onnipresenti telecamere di sorveglianza invadono la loro riservatezza, reprimono il loro attivismo, erodono la loro vita sociale e li fanno sentire costantemente vulnerabili; oltre alla sempre presente minaccia di subire forza eccessiva e arresti arbitrari, ora devono affrontare anche il rischio di essere tracciati da un algoritmo o di vedersi impedito l’accesso nei loro stessi quartieri a causa di informazioni conservate negli archivi di una sorveglianza discriminatoria.

Il rapporto “Apartheid automatizzato” riguarda Hebron e Gerusalemme Est e si basa su prove raccolte sul campo nel 2022, interviste ad abitanti palestinesi, analisi di materiale open-source e testimonianze di personale militare in servizio e in congedo, queste ultime fornite dall’organizzazione israeliana Breaking the Silence e usate per corroborare le conclusioni cui è giunta Amnesty International circa il funzionamento dei sistemi israeliani per il riconoscimento facciale.

Hebron

A seguito dell’accordo del 1997 tra le autorità israeliane e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, la città di Hebron è divisa in due zone, note come H1 e H2. La zona H1, che costituisce l’80 per cento della città, è amministrata dalle autorità palestinesi. La zona H2, che comprende la Città vecchia, è sotto il pieno controllo delle autorità israeliane: ci vivono circa 33.000 palestinesi insieme a circa 800 coloni israeliani, che risiedono illegalmente in almeno sette insediamenti.

I palestinesi della zona H2 sono sottoposti a durissime limitazioni al loro movimento. Non possono avere accesso a determinate strade, riservate ai coloni israeliani, e la loro vita quotidiana è sottoposta a gravi impedimenti, tra cui una serie di posti di blocco militari e ulteriori ostacoli. I coloni israeliani di Hebron usano strade diverse e non devono passare per i posti di blocco.

Il rapporto “Apartheid automatizzato” rivela l’uso, ai posti di blocco militari, di un inedito sistema di riconoscimento facciale noto come “Red wolf”. Vi sono forti prove che il sistema “Red wolf” sia collegato ad altri due sistemi di sorveglianza dell’esercito israeliano, “Wolf pack” e “Blue wolf”.

“Wolf pack” è un grande archivio contenente ogni informazione disponibile sui palestinesi del Territori occupati: dove vivono, chi sono i loro familiari, se sono ricercati per essere interrogati dalle autorità israeliane. “Blue wolf” è un’applicazione cui le forze israeliane possono accedere attraverso smartphone e tablet, che può immediatamente mostrare le informazioni conservate nell’archivio “Wolf pack”.

Quando un palestinese passa attraverso un posto di blocco dove il sistema “Red wolf” è attivo, il suo volto è scansionato a sua insaputa e senza il suo consenso e comparato coi dati biometrici contenuti negli archivi dove sono conservate solo le informazioni sui palestinesi. In questo modo, il sistema “Red wolf” determina se una persona possa oltrepassare il posto di blocco e acquisisce automaticamente ogni nuovo volto scansionato.

Se il sistema informa che nei confronti di una persona esiste un divieto d’ingresso, questa non verrà fatta passare. Il sistema “Red wolf” può anche vietare il passaggio sulla base di altre informazioni riguardante i profili individuali dei palestinesi, ad esempio se una persona è ricercata per essere interrogata o arrestata.

Questo sistema via via aumenta il numero di volti palestinesi archiviati. Un comandante militare israeliano di stanza a Hebron ha dichiarato all’organizzazione Breaking the Silence che i soldati lavorano sull’addestramento e sull’ottimizzazione degli algoritmi per il riconoscimento facciale di “Red wolf” in modo tale che il sistema possa riconoscere i volti senza intervento umano.

Attraverso le testimonianze del personale militare, Amnesty International ha anche documentato come la sorveglianza dei palestinesi si sia trasformata in un gioco. Ad esempio, due soldati di stanza a Hebron nel 2020 hanno detto che l’applicazione “Blue wolf” genera una classifica del numero dei palestinesi registrati e che i comandanti premiano i battaglioni che hanno raggiunto il punteggio più alto. In questo modo, i soldati israeliani vengono incentivati a tenere i palestinesi sotto costante osservazione.

Gerusalemme Est occupata

A Gerusalemme Est occupata, Israele gestisce una rete di migliaia di telecamere a circuito chiuso in tutta la Città vecchia, nota come Mabat 2000. Dal 2017, le autorità israeliane hanno aggiornato le capacità di questo sistema in termini di riconoscimento facciale ottenendo così poteri di sorveglianza senza precedenti.

Amnesty International ha mappato le telecamere a circuito chiuso presenti in un’area di 10 chilometri quadrati che comprende la Città vecchia e il quartiere di Sheikh Jarrah, individuando la presenza di una o due telecamere a circuito chiuso ogni cinque metri. Nuovi strumenti di sorveglianza sono stati installati presso siti di rilevanza culturale e politica, come la porta di Damasco da cui si accede alla Città vecchia, storicamente luogo d’incontro e di protesta dei palestinesi.

Nei quartieri di Sheikh Jarrah e di Silwan, il numero delle telecamere a circuito chiuso è aumentato notevolmente a seguito delle proteste del 2021 contro gli sgomberi delle famiglie palestinesi per far posto ai colori israeliani.

Amnesty International ha inoltre documentato come la continua espansione della sorveglianza a Gerusalemme Est occupata, una città annessa illegalmente, rafforzi digitalmente il controllo israeliano e contribuisca al progresso degli obiettivi illegittimi di sicurezza degli insediamenti illegali. Non solo la sorveglianza funge da deterrente nei confronti delle proteste contro l’espansione degli insediamenti, ma le autorità e i coloni israeliani hanno anche installato ulteriori infrastrutture per la sorveglianza nei pressi degli insediamenti illegali.

I fornitori della sorveglianza

Amnesty International non è in grado di dire con certezza quali aziende stiano fornendo software di sorveglianza facciale alle autorità israeliane. Tuttavia, i ricercatori dell’organizzazione hanno identificato i venditori di numerose telecamere installate a Gerusalemme Est occupata.

Telecamere a circuito chiuso ad alta risoluzione prodotte dall’azienda cinese Hikvision sono montate su infrastrutture militari in zone abitate. Secondo i materiali promozionali dell’azienda, alcuni di questi modelli possono collegarsi a software esterni di riconoscimento facciale. Amnesty International ha anche identificato telecamere prodotte dalla TKH Security, un’azienda dei Paesi Bassi, installate in luoghi pubblici e presso strutture di polizia.

L’organizzazione ha scritto a entrambe le aziende, circa il rischio che i loro prodotti siano usati dal sistema Mabat 2000 per il riconoscimento facciale mirato dei palestinesi e dunque siano legati a violazioni dei diritti umani. Amnesty International ha chiesto anche informazioni sulle procedure di diligenza dovuta applicate nelle due aziende. Nessuna di esse ha saputo spiegare come abbiano rispettato o stiano rispettando le loro responsabilità in materia di diritti umani in queste vendite ad alto rischio.

Secondo il sito della TKH Security, nel 2017 l’azienda israeliana Mal-Tech Technological Solutions (Mal-Tech) è diventata il distributore ufficiale per il mercato israeliano. Ma, nella sua replica ad Amnesty International, la TKH Security ha dichiarato di “non aver avuto rapporti economici con Mal-Tech negli ultimi anni” e di non avere, attualmente, alcun rapporto economico diretto con le forze di sicurezza israeliane.

La TKH Security non ha replicato a un’ulteriore richiesta di chiarimenti da parte di Amnesty International. Hikvision, da parte sua, non ha risposto ad alcuna delle domande di Amnesty International.

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