Ha rifiutato il cibo e qualsiasi tipo di cura durante la propria detenzione. Così, dopo 86 giorni di sciopero della fame, Khader Adnan, uno dei principali esponenti della Jihad Islamica in Cisgiordania, è morto in carcere provocando la dura reazione dell’Autorità Nazionale Palestinese, che parla di “omicidio volontario” da parte dello ‘Stato ebraico’, e delle principali organizzazioni che promettono vendetta. Intanto, in risposta alla notizia sono stati lanciati i primi razzi dalla Striscia di Gaza, mentre Tel Aviv ha sparato colpi d’artiglieria sull’enclave.

A dare la notizia del decesso è stato il servizio carcerario israeliano secondo cui nella notte Adnan è stato trovato privo di sensi nella sua cella ed è stato trasferito in un vicino ospedale. Poco dopo il suo arrivo, però, i medici non hanno potuto fare altro che constatarne il decesso. Il servizio carcerario ha quindi comunicato che “il detenuto, arrestato il 5 febbraio scorso, si era rifiutato di sottoporsi a visite mediche e di ricevere cure”. I familiari di Adnan hanno invece accusato le autorità israeliane di una serie di gravi negligenze nei suoi confronti. “È stato eliminato dalle autorità israeliane”, ha affermato l’associazione dei detenuti palestinesi.

La notizia ha provocato l’immediata reazione delle varie anime dei gruppi organizzati. La voce si è sparsa velocemente anche attraverso i muezzin delle moschee di Gaza. Israele “pagherà il prezzo della morte” di Adnan, ha tuonato la Jihad Islamica che ha rivolto un appello per uno sciopero generale in tutta la Palestina. “La sua morte rappresenterà una lezione per varie generazioni, non abbandoneremo questo impegno finché la Palestina rimarrà sotto occupazione”, si legge in una nota. E la vendetta sembra già essere iniziata: 22 razzi sono stati lanciati da Gaza verso il sud di Israele. Tre le persone ferite, di cui una ègrave. Così Tel Aviv ha deciso di elevare lo stato di allerta attorno all’enclave, stessa scelta presa dal servizio carcerario israeliano per timore di proteste da parte di migliaia di palestinesi reclusi. Non è ancora chiaro se si tratti di una reazione alla morte del leader islamista, ma nel nord della Cisgiordania, vicino all’insediamento di Avnei Hefetz, un palestinese ha aperto il fuoco ferendo un cittadino israeliano di 39 anni. Le Forze di Difesa (Idf) hanno iniziato la caccia all’uomo.

Hamas ha puntato il dito contro Israele, affermando tramite il proprio portavoce Hazem Kassem che Tel Aviv ha “la piena responsabilità della morte di Khader Adnan. È stata un’esecuzione a sangue freddo commessa dai servizi di sicurezza israeliani. Il popolo palestinese non lascerà passare questo crimine sotto silenzio e risponderà in modo adeguato. Il cammino della rivoluzione e della resistenza si intensificherà”. Kassem ha anche puntato il dito contro la comunità internazionale, affermando che “sta a guardare e non sostiene i prigionieri palestinesi, incoraggiando così l’occupazione a continuare i suoi crimini“.

Anche l’Anp ha reagito duramente alla notizia della morte. Si tratta di “un omicidio volontario”, ha affermato il primo ministro dell’Anp Mohammad Shtayyeh, annunciando che avrebbe presentato una denuncia alla Corte penale internazionale (Cpi). Adnan era stato arrestato per le decima volta a febbraio perché sospettato di far parte di un’organizzazione terroristica. Protagonista in passato di altri scioperi della fame, il leader godeva di grande popolarità tra i sostenitori della Jihad.

Chi ha chiesto invece di non dare inizio a una nuova escalation è la vedova di Adnan che ha affermato di non volere ulteriori lanci di razzi da Gaza. A suo parere occorre prevenire spargimenti di sangue perché Israele potrebbe rispondere bombardando la Striscia. La reazione, infatti, è arrivata: Tel Aviv ha risposto con attacchi di artiglieria sulla Striscia, come reso noto dal portavoce militare aggiungendo che l’esercito ha dato ordine ai residenti delle aree israeliane attorno a Gaza e alla città di Sderot di stare “vicino ai rifugi”. La donna ha precisato che il marito lascia nove figli che seguiranno la strada da lui indicata. Secondo i media israeliani, l’Egitto sta portando avanti una mediazione e propone la restituzione alla famiglia del corpo dello sheik in cambio del mantenimento della calma. Una fonte della Jihad Islamica, citata da al-Quds, ha però smentito questa informazione precisando che la restituzione del suo corpo è un diritto fondamentale del popolo palestinese che non può essere oggetto di una trattativa.

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