Una lettura molto emozionante. Brevi racconti, privi di pietismo, di mamme di bimbi con gravi disabilità, dove emerge un grande amore per la vita nonostante tutto, oltre alle denunce dei problemi socio-sanitari presenti in Italia. Una lettura agevole per approfondire il mondo delle disabilità. Si tratta del libro Con il sole nella tempesta, alla seconda edizione con una nuova veste grafica e una postfazione di Don Flavio Pace. È una co-edizione prodotta da Boulos Media & Mastropè dei Mestieri per Valore Italiano Editore. Ilfattoquotidiano.it ha contattato tre delle mamme che hanno descritto delle loro esperienze differenti ma simili, attraverso riflessioni profonde.

“Una quotidianità alternativa ma felice” – “La principale finalità del libro è quella di sostenere i progetti di Espera (www.espera.life)”, dice Jessica Magatti, madre di Edoardo e fondatrice, insieme al marito, dell’associazione nata poco più di un anno fa per sopperire alle carenze del SSN e che ha come focus i bambini disabili gravi che necessitano di cure domiciliari. “L’idea di scrivere il libro – racconta – è arrivata da Alessandra Baruffato, una delle autrici che mi ha detto che voleva far qualcosa di concreto per l’associazione”. Cosi, con altre madri conosciute grazie all’account Instagram @associazione_espera, hanno deciso di raccontare le loro esperienze, “avendo ben chiaro un messaggio da trasmettere: in mezzo alle tempeste della vita è sempre possibile trovare un piccolo sole”.

Come si affronta la grave disabilità di un figlio? Quali suggerimenti dare ad una mamma che si trova a vivere una situazione simile? “Si affronta vivendo il presente, senza arrendersi mai. Ci siamo sentiti dire che Edo non sarebbe vissuto a lungo”, spiega Magatti, 31enne che abita ad Abbiategrasso (Mi) insieme ai figli Edo e Samuele e in attesa di Tommaso. Jessica è infermiera, anche se ora si occupa a tempo pieno di Edo, l’unico paziente che mai avrebbe voluto assistere. “I medici ci davano degli illusi e non capivano i nostri sorrisi. Non voglio dirvi che sarà facile reinventarsi in una vita che non è quella che avrei desiderato, ma che anche in situazioni di disabilità grave è possibile raggiungere una felicità alternativa”. Edo oggi cammina a modo suo sul deambulatore, comunica con il movimento delle braccia ed è felice. Espera offre ore di assistenza infermieristica, riabilitazione a casa, supporto psicologico ai caregivers e siblings (fratelli di persone disabili) e corsi di rianimazione pediatrica.

“Perfetti in ogni minimo difetto” – Baruffato spiega che “il libro nasce dalla consapevolezza che la condivisione è un gesto prezioso che può aiutare molte persone. Quando ho saputo della sindrome di Down di mia figlia Luna – aggiunge -, la mia prima necessità è stata quella di conoscere cosa avrebbe comportato nella quotidianità. Cercavo testimonianze, ma in Italia c’è molto silenzio a riguardo”. Con il profilo @occhidiriso, la mamma di Luna che vive in provincia di Varese, fa il medico e si occupa di nutrizione e benessere, ha scoperto che quello che condivideva poteva essere “testimonianza, aiuto, conforto ed esempio”. Quali sono le principali criticità? “La prima è l’assenza di un protocollo a livello nazionale che possa aiutare le famiglie, perché realtà di assistenza sul territorio sono a volte inesistenti”. Le famiglie spesso si sentono abbandonate dagli enti preposti. “La seconda è la mentalità delle persone – continua Baruffato -. Si è lontani anni luce dal comprendere cosa significa inclusione. Nei confronti della disabilità c’è paura e pregiudizio”. Nel testo si legge che conoscere sconfigge la paura, che la disabilità è un’opportunità di crescita. “C’è ghettizzazione di ciò che non si conosce ma questo non fa altro che impedire di apprendere da ogni diversa realtà che ci circonda”.

“Mia figlia Bianca? Il nostro nuovo inizio” – Elisa Bottoli vive a Mantova con il marito Igor, le bimbe Bianca con sindrome di Down, Caterina e il bassotto Romeo. È in maternità, ma lavora come impiegata. “La mia speranza è quella di poter crescere delle figlie serene e che sappiano accogliere le diversità di tutti”. Quando è nata Bianca, il primo pensiero è stato andare su Google. “Però il web è pieno di elenchi di problematiche che la sindrome porta, con elenchi di luoghi comuni sbagliati (tipo il “sono sempre felici”) ma manca del tutto la componente empatica, che invece ho trovato sui profili social dei genitori”. La motivazione che l’ha portata a scrivere è stata quella di “raccontare la nostra storia per poter essere portatori di testimonianze positive e magari aiutare qualche altro genitore come noi”. Per Bottoli il libro “è rivolto a tutti quelli che vogliono provare a capire e ad aprirsi alla disabilità per non essere in imbarazzo nel momento in cui se la si trova di fronte”. Infine, quali sono gli aspetti più difficili nello scrivere la sua esperienza? “Sono sincera – risponde Bottoli-, quando ho messo su carta i miei sentimenti e sopratutto ho ripercorso i primi momenti dopo la scoperta della sindrome di Down, ho pianto. Probabilmente – conclude – un genitore non è mai pronto quando viene diagnosticato un “problema” al figlio, ma pian piano deve trovare la via giusta e intraprendere un nuovo inizio”.

Articolo Precedente

Decreto Cutro, la protesta delle associazioni: “Produrrà solo nuovi irregolari”. C’è anche Schlein: “Faremo opposizione”

next
Articolo Successivo

Nel mondo siamo troppi o pochi? L’ultimo rapporto Onu smonta le narrazioni allarmistiche che colpiscono il corpo delle donne

next