Una ragazza esce una sera con un ragazzo, bevono, lei ad un certo punto si stente male, va in bagno chiedendo che lui le tenga la borsa e le passi dei fazzoletti di carta per asciugarsi e lascia la porta socchiusa. A quel punto il ragazzo entra nel bagno, le impone un atto sessuale. La ragazza lo denuncia per stupro.

In primo grado viene condannato a due anni e due mesi poi la Corte d’Appello di Torino smonta la condanna in primo grado e in nove pagine fa riferimento al difficile passato familiare della ragazza poi, in alcuni passaggi, scrive che la porta socchiusa del bagno avrebbe fatto “insorgere nell’uomo l’idea che quella fosse l’occasione propizia che la giovane gli stava offrendo? Invito che l’uomo non si fece sfuggire e che la ragazza non seppe gestire perché ubriaca e presa dal panico”. Anche l’elemento della cerniera strappata del jeans indossato dalla ragazza è stato spiegato “non escludendo che, nell’esaltazione del momento, la cerniera di modesta qualità si sia deteriorata sotto forzatura” mentre la ragazza peraltro ubriaca “avrebbe dato speranze al ragazzo”.

Il 9 luglio dello scorso anno, commentavo le motivazioni dell’assoluzione, citavo le critiche delle avvocate dei Centri antiviolenza D.i.Re, una riflessione del giudice Francesco Menditto durante una trasmissione radiofonica e scrivevo sul ricorso in Cassazione da parte della Procura della Repubblica.

Dopo 8 mesi la Cassazione si è pronunciata. Nell’udienza del 2 marzo scorso, la sezione penale III della Cassazione ha accolto il ricorso della Procura con rinvio per nuovo giudizio ad un’altra sezione della Corte d’ Appello di Torino. Il processo sarà da rifare. La Cassazione ha evidenziato che il comportamento tenuto dalla ragazza “un po’ sbronza e incapace di gestore la situazione” non è stato valutato adeguatamente dai giudici della Corte d’Appello di Torino e l’imputato sarebbe stato consapevole di aver equivocato la volontà della ragazza.

Per la Cassazione quindi, la motivazione della sentenza di assoluzione è contraddittoria perché non è stata provata la mancanza di dissenso della persona offesa. “Si tratta di una motivazione illogica – hanno scritto i giudici – nella misura in cui non solo si ricava un sostanziale invito al rapporto sessuale da circostanze quali la porta socchiusa del bagno e la richiesta di fazzoletti per asciugarsi, certamente in sé logicamente lontane da un tale significato, ma anche perché, alfine si sostiene che l’imputato avrebbe avuto la consapevolezza di avere equivocato la volontà della giovane: circostanza questa che presuppone un dissenso dall’atto sessuale, rispetto al quale la Corte non si misura, né nell’illustrare quando esso intervenne e in che termini, né tantomeno nello spiegare come esso possa essere superato sul piano dell’elemento psicologico del reato. Non essendo sufficiente l’affermazione per cui la donna non avrebbe saputo ‘gestire’ l’invito che, si ripete, non è logicamente desumibile da una mera porta socchiusa e da una richiesta di consegna di fazzoletti, tantomeno in una persona che la Corte stessa ritiene un po’ sbronza”.

Questo pronunciamento ci dice che il percorso di riconoscimento dei diritti delle donne e delle vittime di violenza è difficile ma che si stanno facendo piccoli passi contro quei pregiudizi e quegli stereotipi che permangono nella società italiana e che rendono debole la testimonianza delle vittime. Invece di analizzare i fatti, accade che le sentenze si concentrino sul passato delle donne e sui loro comportamenti sessuali e talvolta incidono sui convincimenti dei giudici, le aspettative nei confronti delle donne che denunciano che devono corrispondere all’idea della vittima perfetta.

La Corte Europea dei diritti umani, nel maggio del 2021, condannò l’Italia perché i magistrati della Corte d’Appello di Firenze nelle motivazioni di una sentenza di assoluzione per stupro, avevano veicolato “pregiudizi sul ruolo della donna che permangono nella società italiana e che sono suscettibili di costruire un ostacolo ad una protezione effettiva dei diritti delle vittime di violenza di genere a fronte di un quadro giuridico soddisfacente”. Resta ancora da sciogliere il nodo sul consenso quando si tratta di violenza sessuale.

Da ormai una decina d’anni, l’orientamento della Cassazione è di considerare che la rilevanza penale di un atto sessuale imposto, non può essere condizionata dalla manifestazione di un dissenso esplicito da parte della vittima, ma viene meno soltanto in presenza di “segni chiari ed univoci” di consenso. Eppure questo orientamento continua ad essere disatteso nelle aule dei tribunali. Non esplicitare un “no” non significa affatto dare il proprio consenso, i motivi sono stati spiegati dalla letteratura scientifica sulle reazioni delle persone durante eventi traumatici come le aggressioni sessuali: il disorientamento, la paura, la tanatosi che blocca la possibilità di reagire e di parlare, la difficoltà di ricordare gli eventi. Alcuni studi hanno rilevato che il 70% delle vittime di stupro non reagisce affatto durante l’aggressione e resta immobile e incapace di agire, un dato di fatto che purtroppo continua ad essere male interpretato da balcuni giudici.

Solo “sì” vuol dire “sì”, e una porta lasciata socchiusa non è un invito ad entrare.

@nadiesdaa

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