“Appartengo a quella schiera di persone che riconosce il cambiamento climatico”. Così il governatore Luca Zaia ha detto giorni fa in una intervista a La Stampa, fiero di non appartenere al rozzo manipolo dei negazionisti. Zaia non si è accorto però che in quel nutrito gruppo, di cui fanno parte praticamente quasi tutti gli esponenti del governo di centrodestra, lui c’è, eccome. Infatti, ha detto sempre nell’intervista, il cambiamento climatico “è un fatto naturale”, d’altronde “pensare che il clima resti inalterato a vita proprio no” e infatti “in Veneto abbiamo fossili di palme e coccodrilli nelle colline veronesi, a Pesciara di Bolca, il che dimostra come il clima sia cambiato altre volte nel corso dei secoli”.

Niente origine umana della crisi climatica, insomma, non a caso “durante il lockdown l’inquinamento in pianura è rimasto inalterato”. La posizione di Zaia è, con qualche distinguo, emblematica di quella della destra al potere. Di fronte ai fiumi in secca e alle montagne senza più neve, anche i politici più recalcitranti – come il negazionista Matteo Salvini, che insieme a Fontana e altri leghisti votò contro la ratifica dell’Accordo di Parigi – stanno cominciando ad articolare quell’espressione a loro invisa, “cambiamento climatico” (non ancora “crisi climatica”, non ce la fanno).

Solo che, e non è un dettaglio, quasi nessuno si spinge a dire che la causa di siccità e temperature fuori controllo deriva dall’attività umana. E proprio qui è il problema: come si fa ad affrontare un problema strutturale, e destinato ad aggravarsi come la siccità, senza parlare di ciò che lo causa? Sarebbe come se un medico cercasse di guarire un paziente ignorando del tutto il motivo dei sintomi, ovvero la malattia.

Eppure in questa situazione siamo. Perché se la destra conoscesse qualche elemento della crisi climatica in corso, saprebbe che non si può agire solo sull’adattamento – ad esempio, nel caso dell’acqua, riducendo le perdite, facendo invasi per l’acqua piovana e così via – senza agire anche sul versante della mitigazione, cioè della riduzione della CO2. Il ministro Pichetto Fratin, insieme a Giorgia Meloni, vanno dicendo che rispetteranno gli obiettivi di riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2050. Ma non è chiaro come.

Perché certo non lo potremo fare andando contro alle misure europee per l’efficientamento energetico delle case, né schierandoci a favore dell’auto a scoppio (con gli esiti che abbiamo visto: l’Italia beffata sui biocarburanti), né rimangiandoci quando detto dall’Italia alla Cop26 di Glasgow sui sussidi ai combustibili che continueranno ad essere finanziati, né puntando sul gas mentre le rinnovabili, come ha mostrato un recente dossier di Legambiente, sono al palo.

Per capire il contesto “culturale” nel quale la destra si alimenta sui temi climatici, basta dare un’occhiata ai loro giornali, dalla Verità al Giornale a Libero. Interviste a negazionisti bolliti come Franco Prodi, che nega ogni legame tra siccità e crisi climatica, o a pseudoscienziati pescati in università sconosciute. Attacchi all’Europa e a ogni possibile misura verde. Caccia agli ecovandali e agli attivisti climatici di ogni tipo. È ovvio che, come ha detto Meloni, i danni sono stati fatti nel passato e lei “non è Mosè”. Ma di certo non si risolverà la crisi ammettendo il cambiamento climatico da un lato e boicottando le misure che porterebbero a una riduzione reale delle emissioni dall’altro. Ché questa è solo schizofrenia.

Ben riassunta, per fare solo un esempio tra i tanti, da una dichiarazione di Matteo Salvini, che segnala un’allarmante assenza di nessi concettuali. “Non possiamo lasciare un’Italia magari green, ma assetata e affamata”. Quando invece, al contrario, il “green” è l’unica strada – e da percorrere velocemente – per non morire di fame e di sete.

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