Come ci è finito uno stadio di Serie A come il Franchi (e mettiamoci pure il “Bosco dello sport” di Venezia), nel Pnrr che dovrebbe occuparsi di inclusione sociale? La ristrutturazione dello stadio di Firenze era una bagatella italiana, adesso è diventato un caso diplomatico: l’oggetto della discordia – non l’unico ma certo uno dei più scabrosi – fra l’Italia e l’Europa, l’inghippo che rischia di bloccare il recovery fund. E anche un giallo, perché tutti si rimpallano le colpe: il governo Meloni che l’ha ereditato da quello precedente e non perde occasione di sottolinearlo, l’ex premier Mario Draghi che non parla ma fa filtrare la sua irritazione per essere tirato in ballo, la Commissione Ue che solo oggi si è accorta di un progetto annunciato da anni.

Per capire come sia andata veramente bisogna addentrarsi nelle pieghe del Piano nazionale di ripresa e resilienza e nei suoi mille rivoli. Perché il nuovo Franchi – ammesso che si farà mai, a questo punto non è nemmeno scontato – consta di due finanziamenti diversi: 125 milioni dal Piano Nazionale Complementare, un fondo di risorse statali di cofinanziamento, e altri 55 (poi diventati 70 a seguito del caro prezzi), dal vero e proprio Pnrr, in particolare dalla Missione 5.2 dedicata alla infrastrutture sociali. Come emerso negli scorsi giorni, l’Unione Europea contesta solo il secondo. E proprio qui è il nodo, a quanto ricostruito dal Fattoquotidiano.it.

Torniamo indietro all’aprile 2021, quindi praticamente due anni fa. L’Italia comunica che il Franchi è entrato nel Pnrr, ma l’annuncio in realtà è un po’ impreciso: la ristrutturazione è inserita nel Piano nazionale complementare, che col Pnrr c’entra solo a livello concettuale, ma è composto da risorse statali. Lo stadio è nel “Piano strategico grandi attrattori culturali”, che fa capo al Mibac, la paternità quindi è piuttosto chiara: i compagni di partito e di corrente Pd, il sindaco Nardellla e l’ex ministro Franceschini, risolvono coi soldi pubblici il problema della ristrutturazione del Franchi, col pretesto del vincolo posto dalla Soprintendenza. Operazione politicamente discutibile, che però non ha mai interessato l’Europa: fin qui i fondi sono tutti italiani.

Il problema si verifica dopo, quando al primo finanziamento si aggiunge il secondo. A dicembre 2021 il Ministero dell’Interno pubblica il decreto per l’attuazione della linea “Piani integrati urbani” della missione 5 del Pnrr. A Firenze si accorgono che i milioni ricevuti dal Ministero di Franceschini non bastano per completare lo stadio e decidono di candidarsi: in questo caso il progetto presentato dalla città metropolitana è più ampio, copre diversi Comuni del territorio e vari interventi, e forse anche per questo passa. Ad aprile 2022, un anno dopo il primo contributo, il Viminale pubblica il decreto che destina, fra gli altri, 157 milioni a Firenze: 55 sono per il Franchi, che così ha completato il suo budget. Ma il finanziamento oggi è diventato un caso.

Le responsabilità di questo pasticciaccio all’italiana sono molteplici. Innanzitutto del Comune di Firenze, che non pago del contributo già ricevuto da Franceschini, ha candidato il Franchi a un bando (quello dei Piani urbani) dove faceva fatica a stare. Poi di chi quel finanziamento lo ha approvato e concesso: sul decreto di assegnazione delle risorse della Missione 5 del Pnrr ci sono le firme di due dei ministri più importanti dell’allora governo Draghi, quello dell’Economia, Daniele Franco, e quello dell’Interno, Luciana Lamorgese. Infine, ci si potrebbe chiedere perché l’Europa se n’è accorta solo ora: la Commissione ha spiegato che la contestazione è arrivata adesso perché la terza tranche di pagamento includeva una “milestone” relativa ai progetti di rigenerazione urbana, il ministro Raffaele Fitto (che ha la delega sul Pnrr) riteneva il controllo superato in uno step precedente; comunque sia andata, i documenti erano noti da tempo. E lo stesso vale per Venezia.

Resta da capire cosa succederà. In Italia – dai ministri Fitto e Abodi, all’Anci, fino ovviamente al sindaco Nardella – c’è stata una levata di scudi in favore dell’opera. Governo e Comune proveranno a difenderla: è vero che i progetti specifici da inserire nei Piani urbani non erano stati definiti in origine, e che secondo alcuni indicatori Istat la porzione del quartiere di Campo di Marte dove si trova il Franchi potrebbe anche rientrare nelle aree disagiate, ma la ratio del Pnrr era piuttosto chiara. Basta il buon senso per capire che uno stadio di Serie A c’entra poco con l’inclusione sociale, ed è quello che hanno fatto notare anche dalla Commissione. I margini sembrano minimi. Di chiunque siano le colpe, il problema oggi è tutto del governo Meloni. E del Comune di Firenze, che rischia di ritrovarsi con un buco nel progetto.

Twitter: @lVendemiale

Articolo Precedente

Follia nel campionato messicano: arbitro dà una ginocchiata ad un giocatore. Federcalcio messicana apre un’indagine: il video

next
Articolo Successivo

Albinoleffe-Mantova, clamorosa papera del portiere che si addormenta: l’attaccante ne approfitta. Il video

next