C’è il fumo passivo, quello che inaliamo da chi tira una sigaretta vicino a noi e che, grazie a una sensibilità più diffusa su questo pericolo, come fenomeno si è in parte ridotto. Anche se di strada ce n’è ancora tanta da fare. L’Istituto Superiore di Sanità rileva infatti che non consentono di fumare in casa:

Il 75,4% degli ex fumatori
Il 45% dei fumatori
L’83,5% dei non fumatori
Ma un dato ancora più delicato da migliorare è quel 22,6% di fumatori che espone i bambini a fumo passivo.

C’è però un altro dilemma che scaturisce dai pericoli del fumo, il fumo di “terza mano”, un tipico prodotto da combustione che “consiste nella deposizione di microparticelle di condensato bituminoso presenti nel fumo espirato che si disperde nell’aria”, afferma il dottor Giacomo Mangiaracina, specialista in Salute pubblica e presidente dell’Agenzia nazionale per la prevenzione. “Si appiccica a qualsiasi superficie. In particolare su stoffe e tappezzerie nelle case dei fumatori e nelle loro auto, che per questo motivo vengono deprezzate nel mercato dell’usato. Il problema maggiore risiede nel fatto che questo microparticolato viene nuovamente disperso dalle superfici all’ambiente e pertanto può essere inalato nuovamente”.

Dottor Mangiaracina, che evidenze abbiamo sulla pericolosità del fumo di terza mano?
“Le evidenze le abbiamo dalla fine degli anni ’90. I danni maggiori li ricevono i bambini, che esposti al fumo, diretto e indiretto di genitori fumatori, hanno maggiori probabilità di ammalarsi di asma”.

Anche i vestiti pregni di fumo di tabacco possono diventare una fonte tossica per coloro che stanno vicino a chi li indossa?
“Quello dei vestiti è un problema ‘a metà’, nel senso che si tratta di un danno minore rispetto a quello delle superfici contaminate di casa e delle auto. Non vi sono studi specifici su questo peculiare problema, ma vi si arriva semplicemente per deduzione logica”.

Puntiamo allora al principio di precauzione e mettiamo in conto che anche i vestiti potrebbero essere una fonte di tossicità per la nostra salute: come regolarci con il lavaggio?
“Dando per assodato che il problema vero è il respirare il particolato di casa e delle auto, quello dei vestiti si risolve facilmente portandoli in lavanderia ogni due settimane. È uno dei costi aggiuntivi del fumare, compreso la pulizia dentale. Molto più difficile togliere il particolato da case e auto. Servono a volte imprese di pulizie specializzate”.

C’è anche l’impatto delle sigarette elettroniche.
“Se consideriamo l’esplosione del mercato dei vaporizzatori, come sigarette elettroniche e dispositivi a tabacco riscaldato, è appropriato comprendere le differenze anche sull’impatto ambientale rispetto alle sigarette tradizionali a tabacco bruciato. Questi dispositivi vaporizzano un gel o del tabacco. Il tabacco viene vaporizzato a 350 gradi, producendo residui carboniosi, mentre il gel vaporizza completamente a temperature molto inferiori. In ogni caso non si producono residui bituminosi a base di 3-4 benzopirene, come avviene per la combustione delle sigarette. Pertanto il problema della contaminazione ‘di terza mano’ di questi dispositivi sarebbe minimale, come anche ridotta è la contaminazione passiva per le esalazioni di vapore. Tuttavia, è auspicabile che si impongano misure restrittive che impediscano agli ‘svapatori’ di contaminare terzi. Il danno è minore ma non è assente. Dunque, sono giustificati i divieti anche per le sigarette elettroniche come per le pestifere sigarette di tabacco”.

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