Ad appena un’ora dalla sua apertura il clickday del decreto flussi è andato in overbooking . Lo ha riferito il sito del Viminale: alle 10 del mattino le domande sono state 238.335, quasi il triplo delle 82.705 quote previste dal nuovo Decreto del presidente del Consiglio dei ministri (dpcm) di programmazione transitoria dei flussi. L’adesione fulminea sarebbe, secondo alcuni, la dimostrazione che i decreti flussi sono sempre stati e rimangono uno strumento di “emersione di lavoratori già presenti illegalmente”. Ne è convinto Andrea Zini, presidente di Assindatcolf, Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico, categoria esclusa dal dpcm. Più in generale, la massiccia richiesta di accedere alle quote dimostra quanto la domanda di manodopera sia in realtà “ben più ampia di quella stimata dal dpcm del governo”, ha dichiarato Coldiretti, che chiede un decreto aggiuntivo. Ipotesi sulla quale il governo si è detto disponibile. Ben più complicato rimane trovare una soluzione alla carenza di organico degli sportelli unici per l’immigrazione delle Prefetture, dove il solo nulla osta all’ingresso richiede mesi se non un anno. E da quest’anno il governo ha reso ineludibile il passaggio dai centri per l’impiego, che dovranno assicurare che per l’impiego offerto a un cittadino straniero non ci sia già un disoccupato disponibile. Numeri corti e tempi lunghi, insomma, nel Paese che solo per i progetti del Pnrr ha bisogno di 400 mila nuovi lavoratori entro il 2026, ha stimato la Banca d’Italia.

Partenza col botto per il primo giorno di presentazione delle domande di adesione all’ultimo decreto flussi, più abbondante rispetto al precedente, con oltre 82mila quote di cui 44mila per lavoro stagionale. Le richieste sono state tre volte la disponibilità stimata dall’esecutivo, che nel recente decreto sull’immigrazione firmato a Cutro ha promesso di ampliare i decreti flussi. Si tratta dell’unico strumento di ingresso regolare in Italia per lavoro. Perché una via legale non esiste. Ma i decreti flussi, ricorda Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione di Arci, “servono a far entrare in Italia persone che hanno già un contratto, una promessa di assunzione di un datore italiano ottenuta mentre ancora sono nel Paese di origine: per lo più si tratta di un falso“. E spiega: “Nessuno assume persone che non conosce, che non ha mai incontrato. Questi lavoratori e lavoratrici, a parte gli stagionali, sono già in Italia e sono obbligati a tornare a casa per fare finta di entrare per la prima volta su richiesta del loro datore di lavoro. In realtà tutti sanno che questo datore li conosce perché sono stati per un periodo a lavorare in nero e il datore, non avendo altra possibilità, appena può li regolarizza”. Come decine di altre associazioni, Arci rinnova la richiesta di “modificare questo meccanismo impraticabile e consentire alle persone di arrivare in Italia con un visto per ricerca di lavoro“.

Non solo, il decreto flussi si rivolge solo a determinate nazionalità, che il governo spera ora di ampliare a patto che gli Stati interessati stringano accordi sui rimpatri dei migranti irregolari. E riguarda solo determinate categorie. Per l’agricoltura, ad esempio, ci sono solo quote stagionali. E restano fuori del tutto ampi settori della manifattura e il lavoro domestico, contrassegnato per lo più da lavoro nero. “Nessun click day oggi per le famiglie datrici di lavoro domestico, rimaste ingiustamente escluse a causa di una mancata programmazione che va avanti da oltre 12 anni e che sta rendendo figure come colf e badanti irreperibili sul mercato del lavoro. Per soddisfare le esigenze delle famiglie servirebbero 23mila nuovi lavoratori non comunitari l’anno”, spiega Zini di Assindatcolf, che rilancia sui decreti flussi come viatico di persone che “in realtà sono lavoratori già presenti illegalmente”. E chiede “risorse in più ma anche procedure più semplici, perché le famiglie non sono imprese e non possono pensare di rivolgersi ai centri per l’impiego che, tra le altre cose, ad oggi non sono neanche gli enti preposti al collocamento nel nostro settore, considerando che poi è l’Inps a gestire le assunzioni”.

“Nelle campagne con l’arrivo della primavera c’è bisogno di almeno 100 mila lavoratori (le quote sono 44 mila, ndr) per colmare la mancanza di manodopera che ha duramente colpito lo scorso anno con la perdita rilevante dei raccolti”, afferma il presidente di Coldiretti Ettore Prandini, e chiede “un decreto flussi aggiuntivo, previsto peraltro dalla legge”. In risposta, il governo ha aperto alla possibilità di quote aggiuntive nel corso dell’anno: “Siamo consapevoli che ci sono richieste maggiori, ma stiamo parlando di attività diverse dalle quote di stagionali o per formazione: andremo a monitorare la situazione e stiamo guardando a una programmazione di più ampio respiro per capire se dovremo nuovamente intervenire”, ha detto la ministra del Lavoro Marina Calderone. Intanto le opposizioni attaccano: “Il governo naviga a vista non avendo assoluta contezza della realtà. Lo dimostra il fatto che, nel giorno del click day, le domande superano di gran lunga le disponibilità”, ha dichiarato Stefano Vaccari, capogruppo Pd in commissione Agricoltura della Camera. E aggiunge: “Anziché fare gli sceriffi lungo le coste nei confronti di povera gente che scappa da guerre e miserie, la presidente Meloni e il ministro Lollobrigida dovrebbero impegnarsi a definire una strategia organica di regolazione dei flussi dei lavoratori nel rispetto delle indicazioni e delle richieste che arrivano da imprese ed aziende impegnate nei cicli produttivi”

Rimane però il nodo della pubblica amministrazione che se ne dovrà occupare, a partire dalle Prefetture e dagli sportelli unici, spesso ancora al lavoro con i precedenti decreti flussi, con domande che attendono da mesi e in alcuni casi da più di un anno, come accaduto soprattutto nei grandi centri come Roma, Milano o Napoli. Non solo, la stessa procedura per l’emersione dal lavoro nero, il cosiddetto decreto Bellanova, non ha ancora esaurito le pratiche anche a causa del mancato rinnovo dei lavoratori interinali allocati presso le Prefetture fino al 31 dicembre scorso. Non solo: da quest’anno il governo ha reso obbligatorio verificare “l’indisponibilità di lavoratori presenti sul territorio nazionale” presso i centri per l’impiego. La norma esiste già dal 2013, ma fino a ieri si trattava di infilare un modulo tra le pratiche del decreto flussi, certi che sarebbe rimasto in un cassetto. Adesso invece la verifica diventa preventiva e va dimostrata. A parte gli stagionali per l’agricoltura e il settore turistico-alberghiero, tutte le altre offerte di lavoro dovranno passare prima dai centri per l’impiego. Un ulteriore passaggio che da un lato, per coloro che in realtà sono già in Italia, è inutile visto che la richiesta del datore è fatta ad personam. Dall’altro rischia di allungare ulteriormente i tempi di uno strumento già insufficiente a rispondere a un mercato del lavoro che entro il 2026 avrà perso 630 mila residenti in età da lavoro (15-69 anni). Mentre solo per i progetti legati la Pnrr, ha stimato la Banca d’Italia senza contare l’eventuale indotto generato, servono 370 mila nuovi lavoratori nel prossimo triennio. I conti non tornano.

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