Vuoi assumere un lavoratore dall’estero? Prima assicurati che non ce ne sia uno disponibile in Italia. Lo dice il governo, che per il decreto flussi di quest’anno ha reso obbligatorio verificare “l’indisponibilità di lavoratori presenti sul territorio nazionale” presso i centri per l’impiego. La norma esiste già dal 2013, ma fino a ieri si trattava di infilare un modulo tra le pratiche del decreto flussi, certi che sarebbe rimasto in un cassetto. Adesso invece la verifica diventa preventiva e va dimostrata. Sul principio si può essere d’accordo, per carità. Se non fosse che il principio c’entra ben poco. Intanto perché la maggior parte degli stranieri che accedono alle quote è già sul territorio nazionale e conosce il datore. “Siamo all’ennesimo decreto flussi fondato sul teorema che domanda e offerta possano incontrarsi all’estero”, commenta Adriano Allieri, responsabile dell’Ufficio stranieri della Cisl di Bergamo. “Una sostanziale finzione, a meno di credere che un datore assuma normalmente dall’estero persone che non ha mai incontrato e non sa se e quando arriveranno”, spiega l’avvocato e docente di Diritto e immigrazione all’Università di Padova, Marco Paggi. Per i datori che già sanno chi assumere, le nuove incombenze allungano ulteriormente i tempi. Peggio, “disincentivano i contratti regolari in favore del lavoro nero”.

Il decreto flussi 2022 appena varato dispone 82.705 ingressi per il 2023. 75.705 saranno per lavoro di cui 44.000 per lavoro stagionale, mentre 7.000 sono le disponibilità per la conversione di altri permessi di soggiorno in permessi per lavoro. A parte gli stagionali per l’agricoltura e il settore turistico-alberghiero, tutte le altre offerte di lavoro dovranno passare prima dai centri per l’impiego. È quanto stabilisce la circolare 468/2023 dei ministri dell’Interno, Lavoro e Agricoltura. Le prime offerte legate al decreto flussi iniziano a comparire sui portali di alcuni centri per l’impiego. I primi destinatari devono essere i beneficiari di Naspi e Reddito di cittadinanza. Ma che nei decreti flussi prevalgano da sempre le richieste per assunzioni nominative ad personam, lo sanno anche i centri per l’impiego. “Altrimenti queste offerte di lavoro le avremmo già ricevute, senza il bisogno di attendere il decreto flussi”, è il comune ragionamento di alcuni operatori già alle prese con la novità. E avvertono: “Non possiamo tacere ai disoccupati presi in carico che dietro quegli annunci può esserci un’azienda che ha già scelto chi assumere”.

Tuttavia per quelle posizioni ci si potrà candidare e l’azienda sarà contattata per fissare un colloquio. La circolare prevede infatti che il datore potrà avviare la sua richiesta di nulla osta per l’ingresso di stranieri solo se il centro resta in silenzio per 15 giorni dalla domanda di verifica, se il candidato non si presenta al colloquio o se non risulta idoneo. Ovviamente il datore è tenuto a documentare e motivare tutto. “In un tessuto produttivo fatto di micro imprese com’è quello italiano, tutte queste carte burocratiche sono viste come fumo negli occhi, un intralcio all’attività”, spiega chi ha lavorato tutta la vita in un centro per l’impiego della Lombardia. In altri termini, “se va bene questa complicazione disincentiva l’accesso dei datori al decreto flussi e se va male li spinge a cercare lavoratori irregolari o addirittura a rivolgersi a intermediari che sfruttano le persone”, avverte William Chiaromonte, docente di Diritto del lavoro all’Università di Firenze, già tra i curatori del volume ‘Migranti e Lavoro (il Mulino, 2020).

In Italia complicazione significa tempo perso, tanto. È appena il caso di ricordare che i servizi qui citati vedono da un lato i centri per l’impiego alle prese con un potenziamento del personale partito nel 2019 e ancora a zero in diverse regioni, tanto che qualcuno rimpiange gli ex Navigator, come in Sicilia e non solo. Quanto a Questure e Prefetture, come raccontato anche da ilfattoquotidiano.it, sono alle prese con una strutturale carenza di organico tamponati da innesti di lavoratori interinali che di recente sono venuti meno. Tanto che esistono prefetture dove le 9.000 pratiche dello scorso decreto flussi sono in mano a una sola persona. “Datori che hanno fatto domanda per il precedente decreto, lo scorso gennaio, ancora aspettano”, spiega Alleri. Un lavoro che l’estate scorsa ha visto molte prefetture sospendere ogni altra pratica per riuscire almeno a rilasciare il nulla osta. Eppure c’è stata la semplificazione del governo Draghi, applicata al precedente decreto flussi. “Semplificazione va messo tra virgolette, perché non lo è stata”, racconta una delle ex interinali delle prefetture. “Abbiamo dovuto redigere a mano i nulla osta per tutti i flussi, circa 70 mila pratiche in meno di tre mesi con tutte le problematiche del caso dovute alla fretta (il decreto semplificazione parla di 30 giorni passati i quali il nulla osta viene emesso in modo automatico, ndr)”.

Di più: sempre fingendo che il grosso delle persone non siano già in Italia, la procedura semplificata prevede che il nulla osta venga rilasciato senza che l’Ispettorato territoriale del lavoro verifichi la reale capacità economica dell’azienda che assume, e senza che la Questura controlli eventuali carichi penali che impedirebbero la pratica. Tutto rimandato per fare “presto”. “Se poi salta fuori che la domanda non poteva essere presentata? Che fine fanno gli stranieri entrati sul nostro territorio in maniera regolare?”, domanda l’ex interinale. E rilancia: “E se poi non lo trovo più? È questa la sicurezza di cui parlano?”. Al netto della novità che obbligherà i datori interessati a transitare dai centri per l’impiego, tutti gli altri problemi restano al palo. Né potrebbe essere altrimenti in un Paese dove il Documento di programmazione triennale previsto dalla legge non lo ha più redatto alcun governo dal 2006, né ci si interroga sulle reali esigenze del sistema produttivo. “Sono ammesse solo quote per lavoratori dell’autotrasporto merci per conto terzi, dell’edilizia, turistico-alberghiero, della meccanica, delle telecomunicazioni, dell’alimentare e della cantieristica navale”, spiega Paggi. “Restano fuori ampi settori della manifattura e del tutto il lavoro domestico”, peraltro caratterizzato da un sommerso prevalente e al centro del decreto Bellanova del 2020 sull’emersione del lavoro nero, altra pratica che dopo tre anni vede alcune, grandi prefetture appena a metà strada. Insomma, non si programma né si interroga il mercato, salvo poi imporre improbabili sinergie ai centri per l’impiego per poter dire “prima chi sta in Iltalia”.

“Abbiamo normativa che dovrebbe prevenire illegalità e che invece la produce”, concordano i giusristi Paggi e Chiaromonte. “Non contrasta il lavoro nero, non dimostra di rispondere al mercato, né la volontà di gestire davvero i flussi”. Inoltre, domanda il sindacalista Alleri, “perché le esigenze del sistema produttivo non possono incrociare il destino di chi arriva in Italia e chiede protezione? Perché non inserire anche queste persone in un percorso di integrazione anziché abbandonarli, una volta ottenuto lo status di rifugiati, al caso se non allo sfruttamento?”. De resto, tutto si lega. La legge Bossi-Fini che ha più di vent’anni e ha cancellato l’istituto dello sponsor introdotto dalla legge Turco Napolitano che consentiva a un’azienda o un’associazione di garantire, anche economicamente, per chi cerca lavoro e fino all’eventuale rimpatrio. Invece accoglienza, integrazione, decreti flussi sembrano rimanere compartimenti stagni. Intanto la possibilità di regolarizzare la propria presenza ai fini del decreto flussi senza dover tornare al proprio paese, prevista per la prima volta dal dl semplificazioni del governo Draghi, non è ancora stata confermata per le nuove quote. “Perché si procede per decreti che un anno valgono e quello dopo non si sa”, commentano i giuristi. Concordi sull’urgenza di una riforma del Testo unico sull’immigrazione. Non solo, conclude Paggi: “Sarebbe ora che a regolare i decreti flussi fosse l’Unione europea in modo univoco e una volta per tutte”.

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