Non so se il paragone giusto sia la vendetta di Montezuma o la meno celebre, ma ben nota agli appassionati di calcio, maledizione di Bela Guttman. Una cosa però ormai appare certa: c’è un sortilegio che colpisce inesorabilmente chi si avventura nello spazio televisivo che fu di Enzo Biagi con il suo felicissimo Il fatto. Ora tocca a Vespa con i suoi Cinque minuti che, partito con buoni risultati di audience, dopo pochi giorni ha cominciato a perder per strada un bel numero di spettatori. Ma l’elenco dei fallimenti del dopo Biagi è molto lungo e, se avete pazienza, lo ripercorriamo nelle sue varie tappe.

I primi a cadere incolpevolmente in trappola furono, nel 2002, Tullio Solenghi e Massimo Lopez che aderirono all’idea di sostituire il programma di Biagi, colpito dal cosiddetto editto bulgaro, con qualcosa di completamente diverso, un prodotto di puro intrattenimento intitolato Max e Tux. L’idea che non si può che definire geniale fu quella di cimentarsi non con la pratica dello sketch comico ma la forma più antica e pura della comicità, quella della comica muta alla Chaplin o Keaton. Ora, non può che essere un genio chi ha pensato di utilizzare nella comicità muta due attori che da sempre hanno fatto della vocalità, delle sfumature della voce e dell’iterazione verbale il loro cavallo di battaglia. Infatti il progetto, che doveva servire a contrastare la supremazia della concorrenza dotata di un campione di ascolti come Striscia, fallì miseramente lasciando i suoi ideatori nella massima confusione tanto da richiamare in servizio “la zingara” una simpatica figura che aveva avuto grande successo su quella rete una decina di anni prima.

Esaurita questa parentesi dai risvolti comici estranei alle intenzioni di chi l’aveva programmata, nel 2004 con grande sprezzo del pericolo si tornò all’idea di uno spazio di approfondimento informativo dopo il Tg1. Ne uscì fuori una robetta intitolata Batti e ribatti a cui si dedicarono in successione tre giornalisti – Pierluigi Battista, Oscar Giannino e Riccardo Berti – che avevano in comune alcune caratteristiche: riscuotevano la fiducia del centrodestra al governo, godevano di una certa autorevolezza ai limiti della sopravvalutazione e soprattutto si trovavano in una condizione di assoluto analfabetismo riguardo alla scrittura televisiva. Infatti, del loro lavoro in tv non resta alcun ricordo se non per alcune polemiche legate alla eccessiva condiscendenza nelle interviste ai politici al governo.

Archiviata rapidamente anche questa esperienza, il nuovo direttore del Tg1, Mimun, decise nel 2006 di tagliare la testa al toro: invece che cercare all’esterno qualcuno a cui affidare lo spazio che era stato inventato e gestito da Biagi, lo affidò a sé stesso con una rubrichina dal titolo semplice Dopo Tg1. Anche di questo non è rimasta gran traccia nella storia della televisione.

Più consistente fu invece, soprattutto economicamente, l’incarico affidato nel 2012 a Giuliano Ferrara che sbarcò in quella fascia con il suo pretenzioso fin dal titolo Radio Londra. Ferrara aveva sperimentato con un certo successo la gestione di quello spazio delle otto e mezzo su La7 dove, senza raggiungere audience oceaniche (ma buone per quell’emittente), le sue sparate e i suoi sofismi trovavano ampio riscontro successivo nei media e nel dibattito pubblico. Con Radio Londra invece non accadde nulla di tutto questo: sbruffonate, invettive, attacchi lasciavano il tempo che trovavano, nessuno se ne curava più.

Gli unici bersagli colpiti furono i suoi compagni di viaggio, autori e conduttori del game show che veniva dopo Radio Londra che dovevano sudare sette camicie per riportare su Rai 1 il pubblico che alla fine del Tg e all’arrivo di Ferrara si era volatilizzato. Tanto che fu Ferrara stesso a chiedere di incorporare il suo intervento all’interno del telegiornale: gli sventurati per fortuna non risposero.

Così per un decennio non si parlò più di collocare in access prime time qualcosa che non fossero i pacchi e i soliti ignoti. Ora invece ci siamo ricascati con l’arrivo di Vespa e l’inevitabile ritorno del sortilegio, perché si sa che i sortilegi e le misteriose influenze negative non esistono, non sono veri ma, come ammoniva il grande Eduardo, è meglio crederci. Soprattutto se si intende occupare uno spazio diventato un po’ sacro, esempio di grande giornalismo televisivo e non se ne hanno le capacità.

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