La dinamica demografica negativa dell’Italia non è una novità. I dati Istat per il 2022 confermano la parabola discendente: al 31 dicembre c’erano 179 mila residenti in meno rispetto all’inizio dell’anno. Quanto al saldo naturale, “è fortemente negativo”, scrive l’Istituto. Per la prima volta dall’Unità d’Italia le nuove nascite sono sotto le 400 mila (392.598), mentre i morti sono stati 713 mila: se escludiamo il 2020 del Covid-19, è il nuovo record negativo dal dopoguerra ad oggi. Il saldo dei nuovi ingressi è invece positivo grazie a un’immigrazione in lieve ripresa dopo lo stallo dovuto alla pandemia: 361 mila le nuove iscrizioni all’anagrafe, 132 mila le cancellazioni per espatrio. Ma il surplus di 229 mila residenti non è comunque sufficiente. I dati dialogano con quelli dell’Europa, l’unico continente con il segno meno nelle proiezioni demografiche delle Nazioni Unite, che per l’Italia del 2070 stimano una diminuzione della popolazione pari al 10,8%.

“Al 31 dicembre 2022 la popolazione residente in Italia ammonta a 58.850.717i unità, -179.416 rispetto alla stessa data del 2021 (-0,3%)”, scrive l’Istat nel suo Rapporto del 20 marzo scorso. La dinamica è meno marcata al Nord e al Centro, dove il calo della popolazione è rispettivamente -0,1% e -0,3%, in miglioramento rispetto ai dati 2021: -0,4% e -0,5%. Le cose vanno peggio nel Mezzogiorno, dove si passa dal -0,2% del 2021 al -0,6% del 2022. In particolare, Campania e Sicilia che avevano “colmato la perdita subita nel 2020 (rispettivamente il -1,5% e il -0,9%) nel corso del 2021”, nel 2022 registrano un nuovo deficit: -0,6%. A incidere è soprattutto la dinamica naturale: “Dal 2008, anno in cui si è registrato il valore massimo relativo di nascite degli ultimi 20 anni, l’Italia ha perso la capacità di crescita per effetto del bilancio naturale, non rimpiazzando a sufficienza chi muore con chi nasce”, scrive l’Istituto. Negli ultimi tre anni abbiamo perso 957mila persone, all’incirca la popolazione di una città come Napoli. A incidere, spiega il Rapporto, il persistere degli effetti della pandemia fino alla primavera scorsa che solamente nei primi tre mesi del 2022 hanno contribuito a “una perdita di 105mila unità, pari al 32,7% del saldo naturale dell’intero anno”. Mentre sulle morti ha influito il caldo: “l’eccesso di mortalità registrata nel mese di luglio provoca un aumento del 58,3% del deficit naturale rispetto allo stesso mese del 2021”.

Le cose vanno sempre peggio anche dove vanno meglio. La dinamica naturale presenta valori negativi anche nella provincia autonoma di Bolzano (-314 unità), tradizionalmente caratterizzata da una natalità superiore alla media. “Il tasso di crescita naturale, pari al -5,4 per mille a livello nazionale, varia dal -0,6 per mille di Bolzano al -10,2 per mille in Liguria”, si legge. Con le sole eccezioni del Friuli Venezia-Giulia (-7,2 per mille contro -7,8 per mille) e della Puglia (-4,7 per mille contro -5,1 per mille), tutte le regioni presentano un peggioramento del tasso di crescita naturale. Facciamo sempre meno figli: nel 2022 si contano 392.598 nascite, 7.651 in meno rispetto al 2021 (-1,9%). “Il contesto della crisi sanitaria ancora presente nel 2021 e le conseguenti incertezze economiche – dice l’Istat – potrebbero avere incoraggiato le coppie a rimandare ancora una volta i loro piani di genitorialità”. A livello territoriale il tasso di natalità, pari a 6,7 per mille residenti in media nazionale nel 2022, conferma ancora una volta il primato della provincia autonoma di Bolzano con il 9,2 per mille, mentre la Sardegna presenta il valore più basso: 4,9 per mille. Più elevato al Nord anche il tasso di fecondità, dove i servizi legati all’infanzia e le opportunità di conciliazione tra lavoro e famiglia fanno la differenza. La provincia autonoma di Bolzano è stata l’unica, nel 2021, in cui la natalità complessiva si riduce dal 2008 (-5,3%) ma i primi figli aumentano (+0,7%), in un Paese dove non solo si rinuncia al secondo figlio ma sempre più spesso e in particolare tra le coppie giovani, si rinuncia al primogenito.

La ripresa dei movimenti migratori internazionali è stata consistente, in parte dovuta alle ripercussioni della crisi internazionale a seguito dello scoppio del conflitto in Ucraina, con un saldo migratorio estero pari a +228.816 (+3,9 per mille residenti). A contenere il deficit demografico contribuisce anche il calo delle cancellazioni anagrafiche che dopo la pandemia prosegue nel 2022 pur in assenza di vincoli agli spostamenti: “le cancellazioni per l’estero scendono del 16,7% rispetto al 2021 (-26,5% sul 2019). Minore il contributo dell’immigrazione alle nascite: “Le boomers straniere, le cittadine straniere residenti che finora hanno parzialmente riempito i “vuoti” di popolazione femminile ravvisabili nella struttura per età delle donne italiane, stanno a loro volta invecchiando”. E’ l’altro, grande problema: mentre diminuisce, la popolazione è sempre più vecchia. E questo vale anche per le madri: le donne italiane in età feconda sono sempre meno e l’età media per il primo figlio sale sempre di più: in media si diventa madri a 31,6 anni. E le donne straniere si uniformano: il loro tasso di fecondità è infatti passato da 2,53 figli del 2008 a 1,87 del 2021. Allo stesso tempo cresce anche per loro l’età media al parto, dai 27,5 anni del 2008 ai 29,7 del 2021.

Se non vi sarà un’inversione di tendenza, l’Italia sarà tra i Paesi più colpiti dal calo della popolazione. Se nel 2070 l’Unione europea a 27 avrà perso il 5,2% dei suoi abitanti rispetto al 2020, i Paesi del Sud tra cui il nostro scenderanno sotto il 10%, mentre oltre un terzo della popolazione avrà più di 65 anni. Al contrario, dicono le Nazioni Unite, il continente africano avrà un aumento del 146%, passando dagli attuali 1,3 miliardi di persone a 3,3 miliardi. Il calo previsto per l’Italia tiene ovviamente conto dell’immigrazione, cioè di ingressi e uscite. In uno scenario diverso, dove a contare sono solo le nascite e le morti e non c’è immigrazione, il calo sarebbe addirittura del 33%, con una popolazione di residenti che passerebbe dagli attuali 58 milioni ai 40 milioni del 2070 (dati Eurostat elaborati dalla Fondazione Leone Moressa).

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