Nelle ultime settimane si leggono dati altalenanti sull’economia spagnola, una vera babele di cifre e di previsioni tra le quali è possibile perdersi. La Commissione europea vede all’orizzonte un cielo tinteggiato di rosa sul paese iberico, la cui economia corre più che negli altri Stati membri, con due fattori a fare da traino: la solidità del mercato del lavoro – favorita dagli incentivi per la conversione dei contratti precari in rapporti a tempo indeterminato – e la crescita dei flussi turistici.

In effetti il paese guidato dal socialista Pedro Sánchez, anche nel mezzo dell’ondata inflazionistica conseguente al conflitto, ha saputo consolidare i risultati del settore turistico, uno dei motori più potenti della macchina iberica. Non è una novità per un paese che meglio di altri riesce ad attrarre e ad organizzare le offerte. E se il settore trainante è tornato a livelli pre-Covid, il mattone – altra consolidata risorsa dell’economia iberica – ha ripreso a tirare, come ai tempi che precedettero la “burbuja”, la bolla speculativa vissuta nel 2007.

Seppur i prezzi del mercato immobiliare siano in costante crescita, le compravendite hanno registrato il maggiore boom degli anni quindici anni, con oltre 600mila transazioni portate a termine, un dato che però appare ancora lontano dal record delle 800mila operazioni immobiliari segnato nel 2007. A trarne beneficio sono soprattutto le casse pubbliche, con un aumento del 16% delle riscossioni statali a vario titolo: si passa dall’Irpef all’Iva versata dai professionisti coinvolti nelle operazioni, all’imposta di registro (impuesto de transmisiones patrimoniales) o alla tassa sugli atti giuridici incassata su base regionale.

Un ritmo di crescita che fa rivivere l’euforia respirata prima della grande bolla, sgonfiata dal “pinchazo”, una puntura dolorosa causata dalla mancanza di liquidità del sistema bancario, dal riverbero della crisi statunitense dei mutui subprime, dalle debolezze strutturali interne.

Oggi per una giovane coppia madrilena mettersi alla ricerca di una casa è impresa complicata se il budget non supera i 200mila euro, cifra che, con un po’ di fortuna, consente al più l’acquisto di un appartamento di 80 metri quadrati nelle periferie più remote della capitale. Non è un caso che uno studio del Banco de España abbia evidenziato che occorrono 9 anni di stipendi lordi (medi) per l’acquisto di un appartamento.

Non aleggia solo il rosa nel cielo sopra la Spagna, più in là si intravede qualche nube. L’impennata del mercato immobiliare coincide con la massima esplosione del debito pubblico nell’ultimo triennio, inchiodando il paese sul fondo della classifica degli Stati col maggiore carico debitorio nella Ue.

Non è una novità, l’equilibrio debito/Pil è saltato anni fa. Sono lontani i tempi del governo di José María Aznar che, ereditato nel 1996 dal socialista Felipe González un debito di tutte le Amministrazioni pubbliche pari al 62% del Pil, lo ridusse di ben 15 punti facendo leva su un periodo di stabilità internazionale e sulla spinta propulsiva della bolla immobiliare.

Quindici anni dopo fu un altro conservatore, Mariano Rajoy, a invertire la rotta segnando il record negativo, un aumento del 31 per cento del debito rispetto al 69% lasciatogli dal socialista Zapatero, che portò il tasso al 101%. Un debito pubblico che con l’esecutivo di sinistra ha ripreso forte la sua corsa, arrivando, sotto il peso della pandemia e del conflitto bellico, al 113 per cento.

Le politiche espansive, in parte imposte dalla contingenza sanitaria, sono sotto il vigile occhio di Bruxelles e poco consola gli apparati interni il fatto che la zavorra del debito tiri giù le economie di altri paesi fragili, Italia in testa.

Il Pil risponde bene ma ridurre la spesa non sarà semplice, in un contesto in cui la fascia della classe medio-bassa continua ad ampliarsi attestandosi al 32%, un dato che cristallizza divari e disuguaglianze da contrastare con più Stato e più welfare. Un paese in chiaroscuro, ancora lì chiuso in quell’acronimo – Piigs – che con la Brexit ha perso la “I” dell’Irlanda per lasciarvi i paesi del Sud.

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