Invece di chiamare i soccorsi, le scattava fotografie da inviare agli amici per chiedere consigli. Così, dopo tre giorni, la sua fidanzata è morta a causa di una polmonite che, se subito segnalata, poteva essere curata. È l’esito tragico di una relazione tossica durata anni e caratterizzata, secondo gli inquirenti, da minacce, maltrattamenti e violenze. Per questo Fausto Chiantera, 43 anni, è finito a processo per omicidio volontario aggravato. La richiesta di rinvio a giudizio è arrivata dai pm Antonio Verdi e Stefano Pizza che gli contestano anche la cessione di stupefacenti, le lesioni e i maltrattamenti ai danni di quella che è stata la sua fidanzata dal febbraio 2020 al 18 gennaio 2022, giorno del decesso della donna e dell’arresto di Chiantera. Il processo inizierà ad aprile.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti e riportato da Il Messaggero, il 15 gennaio 2022 l’imputato ha organizzato un festino a base di droga nell’appartamento in cui viveva con la vittima. Dopo aver assunto dell’eroina, la donna ha iniziato a sentirsi male ma lui non chiama i soccorsi. Nel capo di imputazione si legge che si sarebbe limitato “a buttarla a testa in giù dentro il vano doccia, spogliandola e mettendo in lavatrice i suoi vestiti, facendole poi assumere cocaina e sostanze psicotrope, lasciandola in uno stato di incoscienza e di agonia per più giorni e fino al decesso, avvenuto per una broncopolmonite massiva bilaterale. Un’infezione che poteva essere curata, ma Chiantera ha chiamato il 112 solo dopo la morte della compagna.

“Cosa fare in caso di overdose“, è l’ultima ricerca su Google dell’imputato. Una dimostrazione per la Procura che l’uomo sapeva che la fidanzata stesse rischiando la vita. Una vita che da anni era ormai sotto il controllo quasi totale del compagno: da quando si erano messi insieme Chiantera le aveva distrutto il cellulare, obbligandola ad averne uno in comune; le aveva scaricato un’app per controllare i suoi spostamenti e per registrare le telefonate; e l’aveva picchiata, più volte, anche usando una moka. Oltre alle violenze e le vessazioni, anche le minacce, ricostruire dagli inquirenti: isolata da amici e familiari – compresa la figlia -, l’ha tenuta in ostaggio sotto il ricatto di divulgare alcuni video dal contenuto sessuale che la immortalavano. Inoltre, le avrebbe somministrato psicofarmaci senza prescrizione, per renderla dipendente da lui. Due anni in cui la vittima, scrivono i pm, ha vissuto in un “regime di sofferenza psichica e morale”.

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