Un vecchio proverbio dice che il buon giorno si vede dal mattino. Per la premier Meloni il mattino è arrivato con l’approvazione della legge finanziaria 2023 che ha creato un debito aggiuntivo di 21 miliardi, ha previsto un taglio delle pensioni e degli stipendi dei dipendenti pubblici, sostanziose regalie fiscali per gli autonomi benestanti e una modestissima riduzione per un anno del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti. Non un inizio entusiasmante per milioni di contribuenti che si aspettavano qualcosa di diverso. Ora, in una lunga intervista ad un quotidiano economico, Meloni alza ancora il tiro e annuncia la sua rivoluzione fiscale. Tema non nuovo peraltro nella retorica della politica italiana, ricchissima di rivoluzioni mancate.

La premier sul fisco, di questo mi occupo, propone l’ennesima legge delega, progetto in cui si sono cimentati anche i presidenti del Consiglio precedenti. In particolare Draghi che, pur non essendo stato in grado di approvarla, a causa anche dell’opposizione della destra che sosteneva il suo governo, ha rivisto le aliquote dell’Irpef per il cosiddetto ceto medio con una riduzione del carico fiscale di circa sei miliardi. Un discreto successo, naturalmente finanziato in disavanzo. A suo tempo, anche il bonus Renzi fu trainato dal debito. Questa sembra essere una costante della recente politica fiscale italiana: si spende ora e qualcuno pagherà domani. Quali le proposte rivoluzionarie in campo fiscale della premier? Draghi puntava sulla razionalizzazione del fisco, riducendo la selva delle aliquote flat e anche su una maggiore equità, ad esempio aggiornando gli estimi catastali fermi al 1938, anche se poi rivalutati. Tentativo non riuscito. Meloni cosa offre ora al contribuente italiano che ha il morale fiaccato dalle molte promesse? In realtà poche cose, al di là delle parole altisonanti ma che destano molta preoccupazione.

Promette intanto di mettere al sicuro la finanza pubblica e quindi di contenere il debito dello stato che ha raggiunto valori molto preoccupanti anche in vista del ritorno delle regole fiscali europee. Una politica di lacrime e sangue oppure una nuova austerità economica? Nulla di tutto questo. La premier indica una via saldamente nazionalista. A dire dei suoi consiglieri economici (quali?), il problema sarebbe risolto se più italiani comprassero titoli del debito pubblico. Questa riduzione di dipendenza dai creditori stranieri aumenterebbe magicamente la stabilità del nostro debito. Magari Meloni dovrebbe far mente locale al fatto che oggi il 25% del debito è posseduto dalla detestata Banca Centrale. Questa autarchia fiscale è veramente anacronistica ed economicamente irrazionale. Nell’era della globalizzazione, il debito è debito, sia che sia posseduto da italiani o da stranieri. A questo punto sarebbe stato più onesto e coerente rivendicare l’autarchia monetaria con l’uscita dall’euro, e conseguentemente anche dal Pnrr.

Il piatto forte della rivoluzione fiscale alla Meloni è una nuova legge delega alla quale lei stessa e il ministro Giorgetti stanno duramente lavorando. Le linee di intervento sono coperte da un grande riserbo per ora, come una volta si coprivano i prototipi delle auto di Formula 1. La premier afferma però nell’intervista, orgogliosamente, che la grande riforma riguarderà tutti i settori della fiscalità. Sarà una riforma copernicana stile 1973 che ha generato il fisco come oggi lo conosciamo? Le ambizioni pare ci siano. Certo Meloni non potrà offrire la promessa una riduzione fiscale erga omnes come ha fatto in campagna elettorale, perché ora è lei nella scomoda stanza dei bottoni e deve fare i conti con la realtà.

E sul punto dolente per il nostro fisco dell’evasione fiscale, quali sono le novità? Meloni sembra puntare, come è nello stile retorico della destra, più su una rivoluzione morale che sugli strumenti della tecnologia. Si cercherà, dichiara, di favorire in ogni modo (leggi condoni e sanatorie) gli adempimenti spontanei. Se poi questi non arriveranno, solo allora lo Stato procederà con le sue tremende ganasce fiscali. Avrà successo questo fiacco interventismo morale, immaginiamo di stampo patriottico? Il partito dell’evasione, come uno scolaretto impertinente, si farà commuovere e convincere dagli inviti accorati della premier? C’è da augurarselo, ma la probabilità è bassina. Certo, possiamo dire che a forza di nuovi paradisi fiscali, l’evasione più che combattuta è stata legalizzata. Di sfuggita Meloni afferma anche che nella legge delega “metteremmo ovviamente al centro anche i dipendenti e i pensionati, con misure ad hoc”. Quali? Aspettiamo di vedere, ma le scelte governative finora sono andate in altre direzioni.

In definitiva, anche se un giudizio è ancora prematuro, siamo di fronte ad una rivoluzione fiscale o ad una involuzione fiscale? La riforma Meloni porterà ad un fisco più equo e razionale, come è auspicabile, oppure andrà nella direzione, come fanno le destre in tutto il mondo, di avvantaggiare i redditi più alti a scapito di tutti e dei servizi offerti dallo stato sociale? Purtroppo pare che sia quest’ultima direzione a prevalere. Lo dice candidamente l’architetto di questa operazione, il vicemaestro Maurizio Leo con delega al fisco, che ha parlato di un addolcimento della curva delle aliquote dell’Irpef. La nuova Irpef sarà più dolce soprattutto per i redditi più elevati perché le aliquote marginali si ridurranno in maniera sostanziale. Anche per i contribuenti poco attenti ai loro obblighi fiscali, gli onesti a posteriori, ci sarà la dolcezza del fisco. Il sistema sanzionatorio sarà reso meno severo, improntato più ad un cattolico perdono che alla meritata punizione.

I veri contribuenti italiani, cioè i lavoratori dipendenti e i pensionati, sono avvisati: il nuovo fisco targato Meloni non è per loro ma per i soliti noti, evasori e privilegiati. Intanto, sono pregati di comprare i titoli di stato, altrimenti la premier non avrà le risorse per fare la sua personale rivoluzione fiscale.

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