Fuori dal lavoro si vestiva da donna e per questo un agente di polizia fu prima sospeso e poi destituito. Ora il poliziotto, che oggi ha 60 anni, ha ottenuto il diritto di ricevere gli arretrati non percepiti dopo il provvedimento disciplinare deciso dallo Stato. A deciderlo è stato il Tar del Veneto. L’agente ha sempre sostenuto di non essere “né gay né transessuale”, ma solo di avere piacere nel vestire abiti femminili rivendicando “un modo di sentire estroso, anticonformista, non certo immorale”. La sospensione e la destituzione per “inabilità fisica” erano partite nel 2006 con la motivazione che il poliziotto sarebbe stato “affetto da un disturbo dell’identità di genere“. Il sessantenne era stato poi riammesso al lavoro ma collocato in aspettativa fino al trasferimento al personale civile. In un primo momento i suoi ricorsi erano stati respinti dal ministero dell’Interno fino alla decisione depositata ieri al Tar, arrivata dopo essersi rivolto al Tar di Venezia, per tramite dei suoi avvocati Alfredo Auciello e Giacomo Nordio.

Alla fine i giudici amministrativi, sciogliendo il nodo tecnico-giuridico, hanno accolto la richiesta di accertamento del diritto alla ricostruzione economica della carriera, come previsto nei casi in cui gli addebiti disciplinari vengono revocati. Secondo le toghe venete, “il passaggio nei ruoli civili” non determina “una nuova assunzione“, in quanto i suoi effetti sotto i profili dell’inquadramento e della posizione economica decorrono “soltanto a partire dall’accoglimento della domanda di transito“.

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