Lì per lì viene voglia di dare ragione, in questa occasione, persino a Ignazio La Russa, presidente del Senato, tra i fondatori di Fratelli d’Italia, erede del Msi, a sua volta erede della Repubblica sociale italiana (Rsi), quella instaurata il 23 settembre 1943 da Benito Mussolini nell’Italia occupata dai nazisti. Perché potrebbe sembrare sensato il fatto che talvolta La Russa scelga di non partecipare a iniziative antifasciste in cui c’entrano le imprese del Duce (di cui conserva un busto nella sua casa milanese).

Infatti la lunga serie di affermazioni in salsa nostalgica che ha esibito nel corso degli anni non depone a suo favore.

In che senso? Ricordiamo prima di tutto l’ultimo episodio. La Russa il 26 gennaio 2023 ha preso la parola di fronte ai senatori, per ricordare, con 24 ore di anticipo, il Giorno della Memoria, dedicato alle vittime dei lager hitleriani. In Italia è una ricorrenza dal 2000; dal 2005 – per scelta dell’Onu – lo è a livello internazionale. Nel corso del suo discorso, molto istituzionale, il presidente ha detto che “il ricordo dell’immane tragedia della Shoah” deve “essere sempre più memoria condivisa”; poi ha proposto di istituire una giornata, il 17 novembre, in ricordo dell’”infamia delle leggi razziali“. Però ha aggiunto di non aver partecipato all’incontro a Palazzo Giustiniani con Sami Modiano (92 anni, sopravvissuto ai campi di sterminio) e una platea di studenti. Motivo: “Per non dare il minimo accenno di politicizzazione di un tema che deve appartenere a tutti”. Tesi sostenuta in tv anche dal presidente del gruppo di Fratelli d’Italia in Senato, Lucio Malan: “Voleva lasciare spazio ed evitare di mettere la bandierina sulla Giornata della Memoria”. Strano, dato che era stato proprio La Russa, come ha fatto sapere l’ufficio del Senato, a invitare Modiano.

Per inquadrare la questione, è bene ricordare la legge n. 211 del 20 luglio 2000, intitolata “Istituzione del ‘Giorno della Memoria’ in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”. L’articolo 1 definisce così le finalità: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, ‘Giorno della Memoria’, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.

Siccome non c’è dubbio che il regime dittatoriale fascista abbia prima concepito le leggi razziali (1938), poi – come Rsi – abbia partecipato alla deportazione nei lager degli ebrei (e, non dimentichiamolo, di partigiani, prigionieri politici, omosessuali, rom e sinti, testimoni di Geova, eccetera), non c’è neppure dubbio che con questi eventi Mussolini c’entri qualcosa. Tuttavia in Senato, il 26 gennaio, La Russa non l’ha mai nominato. Resta il fatto che – busto casalingo a parte – ci siano vari episodi precedenti in cui non ha saputo o voluto contenere l’afflato nostalgico, anche quando era in veste istituzionale. Citiamo alcuni dei tanti casi.

L’8 settembre 2008 a Roma il ministro della Difesa La Russa, recatosi nei pressi di Porta San Paolo in occasione del 65esimo anniversario della resistenza della capitale contro le truppe naziste, esordì così di fronte al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Farei un torto alla mia coscienza se non ricordassi che altri militari in divisa, come quelli della Rsi, soggettivamente dal loro punto di vista combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli angloamericani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d’Italia”.

Peccato che i militari della Rsi condivisero le imprese nei nazisti e si distinsero fino al 1945 come fucilatori di partigiani, rastrellatori di ebrei da consegnare ai nazisti, massacratori di intere popolazioni inermi e via elencando. Napolitano dovette intervenire per correggere il tiro del ministro.

Sempre La Russa il 21 aprile 2010, quando era ancora ministro della Difesa, durante Porta a porta, sulla Rai, se la prese con gli Internati Militari Italiani (Imi): sono stati i 650.000 soldati che, dopo l’8 settembre 1943 e la nascita della Repubblica di Salò, finirono nei campi di concentramento nazisti, con la “benedizione” del Duce: erano colpevoli di non accettato di indossare le divise repubblichine. L’allora ministro disse che i nostri militari, catturati dai nazifascisti, avevano fatto “una scelta di comodo”, per non “rischiare la vita”. Così “di comodo” che più di 80.000 di quei soldati – protagonisti (con i partigiani e i soldati del Corpo italiano di Liberazione) della Resistenza contro Hitler e Mussolini – morirono di stenti o furono assassinati. Nei giorni successivi La Russa ricevette, tra le altre reazioni, una dura lettera di protesta sottoscritta dal presidente dell’Associazione nazionale ex Internati, l’ex tenente colonnello Raffaele Arcella (1920 – 2021).

Nelle vesti di avvocato penalista, Ignazio La Russa si è distinto come difensore del sindaco di Affile (Roma) e di due assessori, condannati in primo grado e secondo grado per l’accusa di apologia del fascismo in relazione al cosiddetto “sacrario” del gerarca, generale e ministro della Difesa nella Rsi Rodolfo Graziani (1882 – 1955), inaugurato nel 2012; nel 2020 la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza perché dedicare un sacrario al fascista Graziani è insufficiente per ipotizzare il rischio di ricostituzione del partito se a questa non si unisce l’esaltazione di Mussolini.

La Russa e l’altro difensore del sindaco, tuttavia, nelle loro arringhe teorizzavano che Graziani non fosse stato fascista, semmai era solo un soldato che aveva eseguito ordini superiori, come, a loro avviso, dimostrerebbero i fatti storici. Invece i giudici di Tivoli avevano sostenuto, nella sentenza di appello, che ci fosse stato un affronto diretto alla democrazia nell’intitolare un mausoleo a un uomo di spicco sul fronte fascista, considerato persino dall’Onu un criminale di guerra e condannato pure dai giudici italiani, nel 1945, a 19 anni di reclusione per i delitti commessi dopo l’8 settembre 1943 e fino al maggio 1945 (nella sentenza si legge che era stato “capo dell’esercito dei rinnegati e traditori al soldo del governo fascista repubblicano”).

È chiaro che ogni imputato ha diritto alla difesa, ma crea qualche perplessità il fatto che l’attuale presidente del Senato, allora parlamentare, ex ministro ed ex vicepresidente della Camera, si fosse preso la briga di “assolvere” pure Graziani, oltre che il sindaco.

Potremmo citare altri episodi, per esempio la balzana idea, venuta a La Russa (era vicepresidente del Senato) nel 2020: trasformare il 25 aprile, disse, “da giorno della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo a giorno in memoria dei caduti di tutte le guerre, compreso il ricordo di tutte le vittime del Coronavirus”. Per non parlare del fatto che il suo riferimento, nel recente discorso al Senato, alle sole leggi razziali fasciste ripropone un luogo comune caro da sempre ai missini e agli ex missini: limitare la responsabilità del fascismo all’emanazione di quelle leggi che nel 1938 sarebbero state indotte da Hitler, “dimenticando” tutto il resto: un ventennio di assassinii, stragi, deportazioni, carcerazioni, repressione, guerre e via elencando.

Come ha detto lo storico Emilio Gentile già nel 2008, in un’intervista rilasciata dopo l’intervento di La Russa a Porta San Paolo, “una gran confusione alberga nella destra postfascista italiana, con un equivoco di fondo. […] La dittatura è un fatto accidentale o appartiene all’essenza del fascismo e alla volontà di Mussolini? Le leggi razziali sono estranee a ciò che il fascismo era stato fino a quel momento? Se noi optiamo per una lettura accidentale, le leggi antisemite furono un incidente di percorso dovuto a influenze esterne. Con tutto quello che ne consegue: la buona fede, il patriottismo, i valori di chi servì il fascismo”. Invece per Mussolini fin dal 1922 “esisteva soltanto la patria di coloro che aderirono al fascismo”, gli altri “andavano eliminati”.

Continuava Gentile: “È questa stessa logica che nel 1938 conduce Mussolini ad affermare che gli ebrei sono estranei alla razza italiana e per questo vanno discriminati“.

Detto questo, come ho scritto all’inizio, le esternazioni pubbliche del parlamentare sono, in teoria, più che sufficienti per sconsigliare che esterni ulteriormente; quindi viene la tentazione di essere d’accordo con La Russa quando afferma che non aver partecipato all’incontro con l’anziano superstite dei lager, per “non politicizzare il tema”. Tuttavia, ragionandoci bene, La Russa ha torto. Aveva il dovere di partecipare: non solo perché formalmente Sami Modiano era stato invitato da lui, ma perché il presidente del Senato è la seconda carica dello Stato, un rappresentante di tutti i cittadini e un garante della Costituzione. Quindi nessuno pretendeva che partecipasse sventolando la bandierina di Fratelli d’Italia e dintorni, con nostalgie annesse e connesse. L’unica bandiera che in queste occasioni va sventolata è il tricolore: possibilmente come simbolo della Repubblica nata dalla Resistenza contro il nazifascismo, piuttosto che come totem del nazionalismo caro al partito cui appartiene il presidente del Senato.

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