La Corte costituzionale tedesca ha bocciato l’aumento del finanziamento pubblico ai partiti varato nel 2018 dal governo di grande coalizione di Cdu/Csu e Spd. Era stato aumentato il tetto previsto da 161,8 a 190 milioni di euro, più recupero dell’inflazione dal 2019. I partiti della Groβe Koalition avevano ricondotto la necessità di maggiori coperture ai costi di digitalizzazione per svolgere i congressi on-line, avere una presenza costante in rete e favorire la partecipazione politica. Tutti i partiti di opposizioni avevano fatto ricorso alla Corte di Karlsruhe: Verdi, FdP e Linke per l’entità degli importi, la AfD per la velocità della procedura decisa in appena dieci giorni.

La Corte costituzionale, già in occasione del dibattimento orale nell’ottobre 2021, aveva indicato di considerare con serietà la questione. Le toghe rosse martedì hanno dato ragione a Verdi, FdP e Linke, mentre invece hanno respinto come irricevibile l’impugnazione della AfD perché non avrebbe motivato adeguatamente la lesione dei suoi diritti. La presidentessa del secondo senato giudicante Doris König, nel leggere la sentenza sul ricorso accolto, ha chiarito che la legge del 2018 di aumento straordinario dei contributi pubblici ai partiti non ha soddisfatto i requisiti costituzionali e deve considerarsi nulla. Anche se la Corte ha riconosciuto legittima la richiesta di più fondi per la digitalizzazione, “né la proposta di legge, né la successiva discussione parlamentare, hanno fornito indizi comprensibili a desumere in modo chiaro come sia stato determinato il tetto del finanziamento aggiuntivo necessitato dalla digitalizzazione e l’impiego maggiore di strumenti di partecipazione interna ai partiti”. Nel 2018 il legislatore doveva indicare i criteri per coprire le nuove necessità e quali fossero al contempo le occasioni di risparmio con la digitalizzazione.

I partiti tedeschi si finanziano attraverso i contributi dei loro iscritti, donazioni private ed il finanziamento pubblico. A quest’ultimo hanno diritto tutte le forze politiche che nelle ultime elezioni nazionali od europee hanno ricevuto almeno lo 0.5% delle preferenze, o in quelle regionali almeno l’1% dei voti. Quanto ottiene ciascun partito politico è calcolato in base al suo risultato elettorale e a quanto raccoglie dal numero di iscritti e donazioni. Più elevati questi, più contribuisce anche lo Stato, ma in nessun caso in misura maggiore alla somma delle quote associative e delle donazioni. I partiti devono restare indipendenti dallo Stato e ottenere in prima linea i propri finanziamenti dalla società civile quale supporto per organizzare la volontà popolare.

Nel 1992 la Corte aveva disposto che – in ossequio al principio di uso oculato delle finanze statali – i finanziamenti pubblici ai partiti devono avere un tetto. I partiti possono ricevere solo quanto indispensabile per assolvere i propri compiti. Un aumento è legittimo solo se le condizioni “cambiano decisamente”, ma il Parlamento deve motivare allora rigorosamente per cosa servono i maggiori contributi. Martedì i giudici costituzionali hanno sancito che nel 2018 ciò non è avvenuto.

Resta da vedere se l’amministrazione finanziaria richiederà ora ai partiti le somme recepite in eccesso. La dichiarazione di inefficacia della legge di aumento ripoterebbe comunque il tetto dei contributi pubblici per tutti alla prossima assegnazione a 150 milioni di euro. È probabile, perciò, che le forze politiche interverranno tempestivamente con una nuova legge. Il segretario della Spd Kevin Kühnert dopo la lettura della sentenza ha infatti subito dichiarato: “I partiti democratici adesso dovranno sedersi insieme e vedere come potrà essere una motivazione costituzionalmente conforme per giustificare la copertura delle maggiori necessità”. Dal 2002 al 2010 i contributi pubblici ai partiti erano rimasti costanti sui 133 milioni di euro annui, poi sono progressivamente aumentati e nel 2022 sono stati complessivamente pari a 205,1 milioni di euro.

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