Plusvalenza oggi è un termine che equivale al “contiene olio di palma” per gli alimenti qualche anno fa: quasi un “simbolo del male” che basta solo pronunciarlo per generare danni. Non è così, naturalmente, perché una plusvalenza – quando non “artefatta” per abbellire il bilancio con uno scambio – è semplicemente un aumento di valore di un bene in un determinato periodo che genera benefici. Nel caso di un calciatore realizzare una buona o ottima plusvalenza rappresenta un fattore assolutamente virtuoso per una società di calcio, perché da un lato significa veder crescere il valore societario, dall’altro, in caso di cessione “cash”, mettere in bilancio una cifra importante, superiore a quella sborsata per comprare o far crescere il calciatore in oggetto.

Esempi in tal senso ce ne sono tanti: Paul Pogba ne è l’esempio più fulgido probabilmente. Nel 2012, quando il calciatore ha 19 anni e solo 3 presenze in prima squadra al Manchester United la Juventus lo prende a parametro zero. Si vede subito che Paul è un campione: centrocampista con un tocco di palla sopraffino e un tiro incredibile che lo porta a segnare diversi gol tra campionato e Champions. Nel 2016 torna allo United che per riprenderlo sborsa 105 milioni di euro (di questi 76 vanno effettivamente alla Juventus e 27 al procuratore Raiola).

Sullo stesso stile, investire qualche milione su un calciatore giovane per poi cederlo a una cifra di molto superiore c’è l’operazione Alisson Becker della Roma. Il portiere era stato scovato da Walter Sabatini nel 2016 nell’Internacional di Porto Alegre: prima riserva di Wojciech Szczesny, poi titolare inamovibile il brasiliano mostra di essere un fenomeno tra i pali, tanto che nel 2018 se lo accaparra il Liverpool per una cifra superiore a 70 milioni, con una plusvalenza di circa 60 milioni per i giallorossi.

Il Brasile in tal senso è una miniera importantissima: basti pensare all’affare Kakà, con Leonardo che lo porta al Milan nel 2003, prendendolo giovanissimo dal San Paolo per poco più di 8 milioni di euro e con i rossoneri che lo rivendono nel 2009 al Real Madrid per 65 milioni. Sarebbero stati molti di più pochi mesi prima, se Kakà avesse accettato l’offerta del Manchester City. Tornando alla Juventus: il club di Torino negli anni ha realizzato alcune delle più importanti plusvalenze della storia della Serie A. Su tutte Zinedine Zidane: acquistato nel 1996 dal Bordeaux per 7,5 miliardi di lire, il francese dopo alcune settimane di ambientamento dimostra di essere un fuoriclasse assoluto, tanto che dopo 5 anni il Real Madrid mette sul piatto esattamente 20 volte di più di quello che aveva speso la Juventus per accaparrarselo: 150 miliardi di lire, per un calciatore peraltro all’epoca 30enne.

E poi Bobo Vieri: preso nello stesso anno di Zidane dall’Atalanta per 7,3 miliardi di lire, dopo un solo anno venduto all’Atletico Madrid con valore quintuplicato, 35 miliardi. Una discreta bravura con le plusvalenze l’ha dimostrata pure il Napoli di De Laurentiis, che nel processo riaperto ieri figurava tra le società nel mirino della procura fino al precedente giudizio per il caso Osimhen: da Ezequiel Lavezzi, acquistato a 6 milioni dal San Lorenzo e rivenduto al Psg a 30, fino a Edinson Cavani, comprato a 17 milioni e rivenduto a 64. E ancora Gonzalo Higuain: comprato a 37 e rivenduto a 90. Fino a Jorginho e Koulibaly. E ora ha Khvicha Kvaratskhelia tra le mani, che presumibilmente si inquadrerà in questo campo.

E poi l’Inter, con Romelu Lukaku preso per un prezzo già importante: circa 70 milioni di euro e ceduto al Chelsea per 115 salvo poi essere rimandato in prestito all’Inter dopo un solo anno. Certo la maggior soddisfazione è prendere calciatori giovanissimi, praticamente sconosciuti e rivenderli come campioni, come ad esempio Dusan Vlahovic, con Corvino che lo prende a 1 milione e mezzo dal Partizan e la Fiorentina che lo rivende a oltre 70 milioni di euro. O magari crescerli nel vivaio, come Nicolò Barella, già da bimbo nelle giovanili del Cagliari e venduto all’Inter per 37 milioni di euro.

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