Stepan Bandera non era antisemita e non è stato un assassino di massa di ebrei e polacchi”. Così si è espresso l’ambasciatore dell’Ucraina a Berlino, in un’intervista rilasciata lo scorso luglio al giornalista tedesco Tilo Jung, riguardo a quello che si può definire a tutti gli effetti il personaggio più scomodo e divisivo della storia e della coscienza collettiva del popolo ucraino: Stepan Bandera. Neanche la presa di distanza del governo di Kiev e le rimostranze da parte della comunità ebraica sono riuscite a placare gli animi, a dimostrazione del fatto che la ferita nella memoria collettiva è ancora aperta e sanguina copiosamente. Leader carismatico dell’ Oun, Organizzazione Nazionalista Ucraina, e rappresentante delle istanze indipendentiste del Paese, Bandera, infatti, è stato ritenuto responsabile del massacro di centinaia di uomini, donne e bambini ebrei durante l’occupazione tedesca in piena Seconda Guerra Mondiale, nell’ambito della cosiddetta “spinta verso l’est” del Reich. Eppure, nonostante le verità storiche messe nero su bianco e corredate dalle testimonianze dei sopravvissuti, le discussioni sul reale coinvolgimento di Stepan Bandera nei massacri nazisti, continuano ad animare il dibattito pubblico dentro e fuori dall’Ucraina. Da una parte, infatti, c’è chi nega la responsabilità di Bandera, dal momento che il leader nazionalista non era fisicamente presente nel momento in cui avveniva la pulizia etnica operata dalle forze tedesche, perché confinato proprio dal Führer, nel Governatorato generale, nella regione di Chelm, in Polonia; dall’altra parte, invece, c’è chi, riconoscendogli la leadership indiscussa dell’Oun, gli attribuisce le colpe dei massacri compiuti anche con la partecipazione dei suoi uomini, sebbene egli fosse di fatto fisicamente impossibilitato. Insomma, una figura controversa e a tratti contraddittoria, sulle cui responsabilità ancora si discute. In patria, di certo, non lo si fa a cuor leggero, soprattutto perché si parla di un leader politico considerato ancora oggi da una parte della popolazione ucraina il padre della patria ed eroe dell’indipendenza, mentre la propaganda russa lo bolla come collaborazionista dei nazisti, filofascista e antisemita.

Nel suo saggio “L’Eroe criminale. Stepan Bandera e il nazionalismo ucraino”, edito da Rubbettino, Marco Fraquelli, studioso della cultura di destra, ripercorre la vita di Stepan Bandera prima da militante nazionalista e poi da leader dell’Oun. Un viaggio, questo, che parte dalle radici storiche e ideologiche del nazionalismo ucraino, passando per la costituzione dell’Oun, movimento che ha visto il susseguirsi di diverse leadership, non senza guerre intestine per il potere – e in cui Stepan Bandera rappresentava la nuova generazione di nazionalisti e indipendentisti, riuscendo a radunare a sé tanti giovani ucraini-, per poi arrivare alla nascita dei nazionalisti di Svoboda o di Pravyj Sector. In questo libro, dunque, Fraquelli analizza al microscopio il nazionalismo ucraino, macchiato da un presunto antisemitismo che era al tempo stesso opportunistico – perché volto ad ottenere l’appoggio della Germania nazista contro i sovietici e i polacchi che avevano occupato il Paese e vessato le popolazioni locali – e, a tratti, condiviso, perché fondato su convinzioni e basato su una infondata diffidenza nei confronti del popolo ebraico. Ma giungere ad una definizione esatta del cosiddetto “banderismo”, ovvero inserire Bandera e il suo movimento in una apposita e ben precisa categoria politica con dei connotati specifici, non è facile. La realtà è ben più complessa e le semplificazioni possono portare facilmente a deduzioni fallaci.

“L’Eroe criminale”, non è dunque solo una lucida analisi storica degli eventi, ma anche una dissertazione politologica dalla quale non si può prescindere se si vuole conoscere l’Ucraina moderna. A distanza di più di 60 anni dalla sua morte, dunque, Stepan Bandera, continua ad essere un personaggio centrale nel dibattito politico e ideologico, avvolto da un’aura di misticismo fondato sulla forte connotazione religiosa cristiana che ha caratterizzato l’ideologia nazionalista ucraina.

Il 24 febbraio 2022, le forze armate russe hanno invaso l’Ucraina e il capo del Cremlino, Vladimir Putin, ha giustificato la mossa dichiarando di voler denazificare l’Ucraina, ossia di liberare il Paese da quelle falange di nazionalisti estremisti che, a suo dire, avevano ancora il controllo del Paese e minacciavano la stabilità e la sicurezza della Russia. Al netto delle vicende storiche e delle componenti radicali che ancora oggi sono presenti in Ucraina, come specifica Fraquelli nel suo saggio, non si può di certo dire che questo fenomeno, seppure molto visibile, sia politicamente e socialmente pericoloso da giustificare un atto di aggressione bello e buono.

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