Nel leggere l’ultimo libro di Maurizio Pallante mi sono venuti alla mente un discorso e un intervento. Il discorso (famoso) fu pronunciato da Robert Kennedy all’Università del Kansas nel 1968: “Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo. Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana…”

L’intervento fu da remoto di Beppe Grillo durante una trasmissione della Rai dedicata all’alluvione del fiume Tanaro del 1994, e diceva esattamente questo: “L’alluvione servirà per aumentare il Pil”. Discorso e intervento mi sono venuti alla mente perché il saggio di Pallante parte proprio dalla considerazione che il Pil e l’aumento del Pil non possono essere considerati come indicatori del benessere di una nazione, ma anzi, al contrario, della sua febbre. Il Pil deve essere sempre preceduto dal simbolo +, e ciò significa “sviluppo”. Sviluppo che oggi non è più puro e semplice, ma è sempre coniugato con l’aggettivo “sostenibile”. Da qui il titolo del saggio: “L’imbroglio dello sviluppo sostenibile”.

E perché “imbroglio”? Perché la sostanza non cambia: finché si insegue lo sviluppo, aumenterà il degrado, l’entropia: semplicemente perché lo sviluppo non può essere sostenibile, ma può tutt’al più solo spalmare il degrado dell’orbe terracqueo in tempi più dilatati. Ma non accade neppure questo, visto che da quando si è inventata la “geniale” locuzione dello sviluppo sostenibile nel 1987 (Rapporto Brundtland) le condizioni della Terra sono vieppiù peggiorate. Né la situazione potrà migliorare solo sostituendo le fonti di produzione energetica, a tacere del fatto che esse stesse possono contribuire al degrado a seconda delle dimensioni e dell’ubicazione. E allora, che fare?

Chi conosce Pallante lo sa bene: scegliere la decrescita. E sottolineo “scegliere”, prima che si addivenga ad una recessione, che non è appunto da confondere con la decrescita, ma solo il risultato dell’inquinamento, della crisi climatica, della fine delle risorse, e via discorrendo. Quello che ci aspetta. Del resto, che la decrescita possa essere una strada obbligata per l’umanità lo afferma persino il Papa nell’enciclica “Laudato sì”: “è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti”. Ma i politici invece vanno avanti per la loro strada come se nulla fosse, e l’unica cosa di cui si preoccupano è cercare di imbonire la gente ammantando il loro lessico con parole e locuzioni suadenti che rimandano ad un mondo “verde” che non esiste. Così ecco nascere oltre all’ossimoro dello sviluppo sostenibile, l’economia circolare, la resilienza, i termovalorizzatori… Oppure il prospettare l’araba fenice dell’energia nucleare come sostegno sostenibile allo sviluppo.

La politica va in direzione ostinata e contraria alla salvezza delle specie, uomo compreso. Siamo in pochi a sostenere la necessità del cambiamento e anche in tempi brevi. Pallante lo scrive da decenni.

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