Il colpevole del massacro di polli sicuramente c’è, visto che un centinaio di animali sono morti e l’allevamento dove erano stipati è stato sforacchiato come una gruviera in più punti. Sicuramente si tratta di un proiettile dell’Esercito Italiano calibro 105/52 millimetri, sparato con il buio durante un’esercitazione avvenuta il 17 marzo 2021 nel poligono del Cellina-Meduna, in provincia di Pordenone. Ma siccome non si può promuovere l’azione penale contro l’arma del delitto, bensì lo si deve fare nei confronti di chi la manovrava, il problema era quello di individuare la paternità del blindato che sbagliò clamorosamente bersaglio, facendo strage dei pennuti. I militari avevano direzionato malamente il colpo, partito a circa 1.300 metri dallo sfortunato bersaglio. Due anni dopo la Procura della Repubblica di Pordenone e la Procura militare di Verona hanno alzato bandiera bianca e si sono arrese. Le due inchieste, condotte in parallelo, ma con verifiche reciproche, non sono approdate a nulla. Nessun indagato, nessun ufficiale da mandare sotto processo. Gli atti sono finiti in archivio.

In realtà i sospettati c’erano, ed erano due autoblindo Centauro, quella sera impegnati a cannoneggiare lungo il greto del torrente Cellina. I consulenti a cui si sono appoggiati i magistrati (il colonnello Paolo Fanin e il capitano Giuseppe Nicolosi per la Procura della Repubblica di Pordenone) non hanno acquisito la prova provata di quale dei due sia stato a colpire le galline di Edoardo Da Re, a Vivaro. In una parola: non sono riusciti a trovare il “cannone fumante” del misfatto. In pista si era messo anche l’Esercito, con i suoi investigatori. Tutto inutile. Durante l’esercitazione vennero sparati decine di proiettili. La ricerca della corona di quello incriminato è stata inutile, perché sul terreno, come in qualsiasi guerra (seppur finta), i reperti erano fin troppi. Impossibile così risalire nella catena di comando.

Il pm Marco Faion di Pordenone ha chiesto l’archiviazione, accolta dal gip Monica Biasutti. Le forze militari impegnate nell’esercitazione erano la Brigata di cavalleria Pozzuolo del Friuli, il reggimento Genova Cavalleria di Palmanova e il reggimento Lagunari “Serenissima” di Venezia, unico reparto di fanteria d’assalto anfibio dell’esercito. Gli spari erano avvenuti al mattino e alla sera. Il bersaglio era stato posizionato tra i Magredi (che in friulano significa “terra magra”) i depositi ghiaiosi del Cellina e del Meduna. La traiettoria è stata spostata di 40 gradi rispetto a quanto previsto, ed ecco che il proietto da esercitazione (non esplosivo) ha bucato addirittura sei pareti dell’allevamento.

La scoperta del disastro era avvenuta solo il mattino successivo dagli ignari allevatori che avevano trovato le galline morte. I carabinieri della Compagnia di Spilimbergo, che erano informati dell’esercitazione, avevano subito capito cosa fosse accaduto. La Procura aveva messo sotto sequestro quattro autoblindo. Gli accertamenti si sono concentrati su due, ma senza accertare con sicurezza quale fosse il responsabile. È stato così impossibile accertare se l’errore fu degli operatori militari, di un guasto tecnico o di un calcolo sbagliato.

Le conclusioni sono state condivise oltre che dal pm Faion, anche dal procuratore Raffaele Tito, mentre sul versante della giustizia militare se ne sono occupati il procuratore Stanislao Saeli e il sostituto Luca Sergio. Nessuna irregolarità è stata rilevata nell’organizzazione dell’esercitazione e neppure sulla pericolosità del poligono di tiro. I reati ipotizzati a carico di ignoti erano il getto pericoloso di cose (cannonata e proiettile) e il danneggiamento del manufatto industriale. Non essendo stato individuato l’equipaggio dell’autoblindo Centauro che ha causato la strage di polli, non è stato possibile contestare a nessuno la prima accusa. Il danneggiamento colposo, che un tempo era punibile con una pena da 6 mesi a tre anni, nel 2016 è stato depenalizzato, passando da reato penale a semplice illecito amministrativo, punito con una sanzione civile.

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“Valanga della Marmolada imprevedibile”: i pm richiedono l’archiviazione dell’inchiesta

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