Secondo il tribunale di Forli, indossare una t-shirt con la scritta “Auschwitzland” non è un reato. Lo hanno stabilito i giudici, in primo grado, che hanno assolto Selene Ticchi, ex militante di Forza Nuova, poi sospesa e ora appartenente al Movimento nazionale rete dei patrioti. Ticchi, originaria di Budrio (Bologna), vestì la maglietta, nera con un logo che scimmiottava quello della Disney e mostrava l’ingresso del campo di sterminio in Polonia, in occasione della manifestazione del 28 ottobre 2018 a Predappio, quando come ogni anno si radunarono, nel paese natale del Duce, i nostalgici della marcia su Roma. L’attivista venne immortalata da foto e riprese video e finì indagata per la violazione della legge Mancino.

La Procura forlivese, che oggi ha chiesto per lei una condanna a nove mesi, nel 2019 ottenne un decreto penale con multa di circa novemila euro, ma Ticchi, assistita dal marito, avvocato Daniele D’Urso, si oppose e così è iniziato il dibattimento. “Siamo felici e soddisfatti”, ha commentato Ticchi, dopo la decisione. La sua linea difensiva è stata che la maglietta era una protesta “contro chi lucra su luoghi dove sono avvenute tragedie, non solo Auschwitz”. Le motivazioni dell’assoluzione, con la formula perché il fatto non costituisce reato, arriveranno tra due settimane e a quel punto i pm, guidati dalla procuratrice Maria Teresa Cameli, decideranno se impugnare la sentenza. All’epoca parlò di un “fatto molto grave, che non può essere giustificato come una leggerezza o un eccesso di goliardia. I fatti della Seconda Guerra mondiale, e in particolare dello sterminio degli ebrei, grondano sangue e debbono sempre e solo suscitare rispetto e commozione”, disse.

Ma la pronuncia attira critiche: “Sinceramente non so cosa ci poteva essere di più evidente rispetto alla violazione della normativa vigente Un brutto segnale per il Paese e per i valori democratici”, ha detto all’agenzia Ansa Andrea De Maria, deputato del Pd ed ex sindaco di Marzabotto, comune del Bolognese teatro del più grave eccidio dei nazifascisti durante la Seconda guerra mondiale, che si dice “amareggiato”. “A maggior ragione – continua – mi sento impegnato a promuovere la proposta di legge, sottoscritta con altri colleghi alla Camera ed al Senato e condivisa con l’Anpi, per rendere più efficace il contrasto alla apologia del fascismo e del nazismo“. Parte civile era proprio l’associazione dei partigiani, dal cui esposto prese il via l’inchiesta. “Non commento le sentenze. Resto dell’idea però che quella è una maglietta da non portare. Assolutamente”, dice oggi Gianfranco Miro Gori, presidente dell’Anpi di Forlì.

Sul caso è intervenuto anche il vicepresidente Anpi Emilio Ricci: “Colpisce”, ha detto, “che, ancora una volta, l’ostentazione di condotte apologetiche non siano ritenute penalmente rilevanti quando, nel caso che ci occupa, si ridicolizza una delle vicende storiche più gravi e drammatiche vissute nel periodo della seconda guerra mondiale. Rileviamo la contraddittorietà delle decisioni della Magistratura che, in alcuni casi condanna e in altri assolve, pur in presenza di condotte sostanzialmente analoghe; va anche rilevata la discrasia tra il comportamento della Procura (che chiede una significativa condanna) e il giudice che assolve. Da tempo l’Anpi si batte perché la normativa in materia di esaltazione e apologia del nazifascismo sia sostanzialmente e drasticamente riformata, anche mediante la presentazione di un progetto di legge di riforma”.

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