Non il Real Madrid o il Bayern Monaco, né il PSG o il Manchester City: è l’Al-Hilal di Omdurman la squadra più vincente del 2022. I numeri parlano chiaro: nell’anno appena trascorso, infatti, i sudanesi hanno vinto 41 partite, una in più di Porto e Liverpool (40). Merengues e Citizens, per dire, si sono fermate a 37.
L’Onda Blu – che è stata soprannominata così perché l’ispirazione del nome (hilal, mezzaluna in arabo) venne ad uno dei fondatori, tale Adam Rajab, in una notte rischiarata da una splendida luna crescente – ha vissuto un anno da favola, impreziosito lo scorso novembre dalla conquista del ventinovesimo titolo della sua storia, il secondo consecutivo.

La stagione era cominciata con il portoghese João Mota in panchina, ma il definitivo salto di qualità è arrivato con lo sbarco di Florent Ibengé. L’allenatore congolese, considerato uno dei più interessanti coach emergenti del calcio africano, ha trovato terreno fertile per i suoi metodi innovativi e data oriented. Non è un caso se, in Marocco – dove ha condotto la Renaissance de Berkane alla conquista di una Coppa della Confederazione CAF (l’equivalente dell’Europa League in salsa africana) e di una Coppa del Trono (la coppa nazionale marocchina) – lo hanno soprannominato Android. Ma Ibengé è molto più di questo. Tattico estremamente preparato, diplomato al primo corso per allenatori professionisti lanciato dalla CAF nel 2018, il tecnico congolese è anche un raffinato comunicatore. Quando era il commissario tecnico della Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, è intervenuto nel dibattito sulla mancanza di allenatori neri nel calcio d’elite, utilizzando la consueta dialettica caustica e sferzante, da cui probabilmente deriva parte del suo incredibile carisma. “Lo sappiamo, no. Noi neri sappiamo giocare ma non prendere decisioni“, aveva dichiarato ironicamente.

Dopo la separazione improvvisa, e anche un po’ inaspettata con la RS Berkane, l’Al-Hilal Omdurman è stata la società che lo ha corteggiato in maniera più insistente, riuscendo a convincerlo con un progetto tecnico di lungo respiro. E in campo il binomio Ibengé-Al Hilal ha funzionato sin da subito. Dopo aver completato l’opera iniziata da Mota, portando l’Onda Blu sul tetto del Sudan, l’Al-Hilal è partito fortissimo anche in questa stagione: in questo momento guida la classifica della Premier League sudanese, con cinque punti di margine sull’Al-Merreikh, anche se i giallorossi hanno una partita in meno. Proprio con l’Al-Merreikh, l’altra squadra cittadina con cui negli ultimi 30 anni l’Onda Blu si è spartita il bottino in patria, il gigante sudanese vive una delle rivalità più incandescenti d’Africa e forse del mondo. Lo chiamano “Derby dei Due Nili“, perché il teatro è appunto Omdurman, la città gemella della capitale Khartoum dove il Nilo bianco abbraccia quello azzurro. Negli anni l’Al-Hilal si è imposto come il club più titolato del Paese, vincendo il titolo per ben 29 volte. Gli altri, separati da una sola via, la celebre Al-Ardha street, invece, hanno vinto un pochino meno (19 titoli), ma possono fregiarsi di essere uno dei club più antichi dell’Africa Orientale, essendo stati fondati nel 1908.

Il derby di Omdurman, come si può facilmente intuire, non è una stracittadina tranquilla e adatta ai deboli di cuore. A farla da padrone sono le due tifoserie sugli spalti, nel bene e nel male: qualche un anno fa, gli Ultras Blue Lions – la frangia più calda di tifosi dell’Al-Hilal – srotolarono uno striscione raffigurante Adolf Hilter e intonaro cori a favore dell’Olocausto per tutta la durata della partita. Altre volte, invece, lo stadio dell’Al-Hilal ha fatto da cassa di risonanza del malcontento popolare, lasciando intravedere il trailer del terremoto sociale e politico che si sarebbe scatenato di lì a poco. Il 23 novembre 2018, durante una partita di CAF Champions League tra i sudanesi dell’Al-Hilal e i tunisini del Club Africain, un brivido freddo deve essere scivolato lungo la schiena degli alti gerarchi del regime di Omar Al-Bashir, in quel momento padre padrone del Sudan da quasi un trentennio. Dagli spalti dell’Omdurman Stadium, si è levato un coro decisamente inconsueto per un posto come quello: “La gente vuole abbattere il regime. Libertà, Libertà!“, hanno cantato i supporter della squadra di casa, riprendendo un motivetto in voga tra il 2010 e il 2011, quando era diventato un vero e proprio slogan delle cosiddette “primavere arabe“.

A sobillarli su twitter, invitandoli a partecipare alle contestazioni, era stata una gloria del calcio nazionale come Haitham Mustapha. Ma questo non è bastato per evitare la repressione. La polizia, schierata in assetto antisommossa, ha usato gas lacrimogeni nel tentativo di disperdere la folla, mentre nei dintorni dello stadio impazzava la guerriglia urbana, con diversi tifosi arrestati oppure rimasti feriti o addirittura uccisi negli scontri. Era, però, solo questione di tempo: alla fine, nell’aprile del 2019, Omar al Bashir è stato deposto, anche se, tra colpi di Stato e giunte militari, il cammino verso la serenità sembra essere ancora lungo per il Sudan. La Champions League africana, invece, è tornata a rappresentare solamente un obiettivo sportivo per l’Al-Hilal. Tornare a fare bene in questa competizione (nel 1987, l’Onda Blu arrivò addirittura in finale, poi persa con gli egiziani dell’Al-Ahly), dopo aver consolidato il dominio in campionato, è forse il vero motivo dell’ingaggio di un allenatore con un pedigree come quello di Florent Ibengé. Lui sembra esserne consapevole, anche se preferisce rimanere con i piedi ben saldi a terra, come ha raccontato in una recente intervista al portale Sport News Africa. “Innanzitutto, bisogna qualificarsi tutti gli anni per i gironi. Però sì, il nostro obiettivo è quello di raggiungere i quarti di finale“.

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