La metà dei fondi d’investimento europei “dark green”, ovvero quelli considerati meno impattanti per clima e ambiente, sono stati bocciati all’esame della sostenibilità. Con 8 miliardi e mezzo di euro destinati a compagnie inquinanti del settore dell’aviazione e dei combustibili fossili, risultano infatti più neri che verdi. Quasi 5 miliardi di finanziamenti provengono dagli investitori italiani. A rivelarlo è un’inchiesta condotta dalla Great Green Investment Investigation, un collettivo di diverse testate – tra le quali El Pais, Le Monde e l’italiana Irpi Media, fondato dalle piattaforme olandesi Follow the Money e Investico. I 26 giornalisti del team hanno analizzato 838 portafogli sostenibili, per un valore di 619 miliardi di euro. Di questi 388 comprendevano società con alte quote di emissioni di gas serra.

I fondi analizzati sono quelli classificati come altamente sostenibili in base all’articolo 9 del Sustainable Finance Disclosure (Sfdr), il regolamento sulla finanza verde entrato in vigore a Bruxelles nel 2021. Questi salvadanai, venduti ai risparmiatori da banche come Bnp Paribas, Deutsche Bank, ABN Amro, Unicredit, Deloitte, Robeco e ING Bank, sono tra i più in salute in Europa: nel 2022 il loro capitale è cresciuto di 31 miliardi, in controtendenza rispetto agli altri fondi verdi. Per le società che le promuovono sono poi sono anche redditizi: hanno un premio annuo aggiuntivo, rispetto ad altri prodotti finanziari, compreso tra 480 e 510 milioni di euro, secondo Paul Smeets, professore di finanza sostenibile all’Università di Amsterdam. I requisiti per accedere all’articolo 9 sono però, almeno sulla carta, stringenti: i fondi devono raccogliere aziende con un obiettivo ambientale esplicito e che evitino, nel loro ciclo di vita, “danni significativi” alla natura, al clima o ai diritti umani.

Nel 46,3% dei casi analizzati questi criteri di sostenibilità non vengono totalmente rispettati, con investimenti in molte in molte delle compagnie, presenti nella lista del Climate Accountability Institute delle società che contribuiscono in misura maggiore alle emissioni globali. Ciò si traduce in 8,54 miliardi di euro destinati all’industria fossile e dell’aviazione. Di questi, quasi 5 miliardi provengono dall’Italia: su 477 fondi ‘articolo 9’ disponibili a giugno 2022, ben 236 sono legati alle fonti fossili o al settore dell’aviazione. La situazione però non è migliore all’estero. Dei 239 miliardi raccolti dalla finanza ‘dark green’ in Olanda, il 2% finanzia compagnie inquinanti. In Lussemburgo, il 43% dei portafogli alimenta supermajor del petrolio (tra cui Shell, Total, BP e Saudi Aramco), compagnie aeree (tra cui Lufthansa, Delta e Air France-KLM) e giganti del carbone (come RWE, Glencore e Uniper). In almeno 10 fondi compaiono la big oil norvegese Equinor, che ha ricevuto 37 milioni di euro nel 2022, Marathon Petroleum, la portoghese Galp Energia o l’italiana Snam, finanziata da Amundi.

L’inchiesta ha denunciato gestori patrimoniali noti, come BlackRock, ma anche Bnp Paribas, con il 20% del suo fondo green investito in energia fossile. Anche le società non legate al fossile non si possono però considerare sostenibili: comprendono Microsoft (8,2 miliardi di euro), Apple (6,7 miliardi), Alphabet (4,4 miliardi), le società farmaceutica Novo Nordisk (7,6 miliardi) e Thermo Fisher (4,1 miliardi), ma anche McDonald’s, Coca-Cola, Pepsico, L’Oréal e Louis Vuitton Moët Hennessy, tutti legati ad un largo utilizzo della plastica e con un’ampia quota di emissioni. Nella listaci sono poi il gigante dell’acciaio ArcelorMittal e dell’edilizia Lafarge Holcim.

Dagli accordi sul clima di Parigi del 2015, in cui è stato fissato un limite di 1,5 gradi per l’aumento della temperatura media globale, gli investimenti sostenibili sono in crescita. Secondo il fornitore di servizi finanziari Morningstar, attualmente almeno 418mila miliardi di euro (la metà del denaro nei fondi europei) sono investiti in prodotti etichettati come verdi. Si tratta di una cifra pari al valore di mercato di Alphabet (Google), Asml, Coca-Cola, Nestlé, Pfizer, Samsung, Shell, Toyota, Walt Disney e Walmart messi insieme. Molti dei portafogli verdi però più che sull’impatto sull’ambiente delle aziende che raccolgono, si concentrano su come le normative e i cambiamenti climatici potrebbero influenzarne il rendimento. Per esempio, il fondo Blackrock, colosso Usa al centro negli scorsi anni delle polemiche per le sue politiche di greenwashing, denunciate anche da Ilfattoquotidiano.it.

Le norme europee sugli investimenti ‘dark green’ sono chiare, secondo l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma). A livello nazionale però, lamentano gli Stati, non ci sono linee guida sufficienti per stabilire quando i fondi possano essere accusati di greenwashing e quando debbano essere puniti. Mentre a Bruxelles si studia una strategia per stringere sugli investimenti green, alcuni gestori patrimoniali come l’olandese Actiam o il gruppo assicurativo Axa hanno annunciato di voler declassare diversi prodotti finanziari da articolo 9, a fasce di sostenibilità inferiori.

Articolo Precedente

Delta del Niger, la Shell pagherà 15 milioni di dollari alle comunità locali danneggiate dalle perdite degli oleodotti negli anni 2000

next
Articolo Successivo

Pfas, ora sono i big dell’industria a non volerli più utilizzare per evitare cause legali costose. Il caso della statunitense 3m Company

next