Proliferano pseudo esperti, influencer che consigliano diete dimagranti di ogni tipo. Quella più gettonata è sicuramente la dieta iperproteica che riduce al massimo o azzera del tutto il consumo di carboidrati a fronte di elevate quantità di cibo proteico. Il pericolo è che proposte del genere, non offerte da specialisti, possono creare gravi danni alla salute delle persone. In più, nel termine generico “iperproteico” capita che ci vadano a finire anche diete che non hanno a che vedere con questa definizione. Come quella chetogenica. Abbiamo chiesto di approfondire il tema alla professoressa Anna Maria Colao, endocrinologa e presidente Sie (Società italiana di endocrinologia), professore ordinario di Endocrinologia e malattie del metabolismo, cattedra Unesco di Educazione alla salute e allo sviluppo sostenibile, università Federico II di Napoli.

Professoressa Colao, innanzitutto quando una dieta può essere definita “iperproteica”?
“Quando si assume più di un grammo di proteine per chilogrammo di peso corporeo al giorno. In realtà, nelle diete iperproteiche si supera abbondantemente questo valore. Soprattutto nel caso dei body builder che si pongono l’obiettivo di aumentare notevolmente la massa muscolare. Ma va subito precisato un dato: le diete iperproteiche hanno indicazioni molto specifiche e vanno seguite sempre da medici nutrizionisti esperti”.

Di fatto però godono di un certo successo perché farebbero dimagrire.
“Certo, se togliamo i carboidrati e inseriamo molte proteine, una parte dello dispendio energetico si consuma solo per utilizzare quello che si è mangiato”.

Ma mangiare troppe proteine provoca rischi…
“Per digerire le proteine, il fegato, l’organo deputato alla loro trasformazione, consuma energie per mettere da parte gli zuccheri causando in questi casi affaticamento epatico; stessa cosa accade per il rene, l’organo deputato all’eliminazione delle scorie che derivano dalla digestione dalle proteine. Il rischio che si corre – ma si parla di persone che seguono senza controllo queste diete, magari aggiungendo anche integratori aminoacidi per amplificare gli effetti – è l’insufficienza epatica e renale. A questo si arriva perché hai davvero esagerato molto e per molto tempo”.

Uno dei fattori principali che influenzano il rischio di diventare obesi è paradossalmente proprio l’eccessivo consumo di proteine, come è stato rivelato dallo studio EPIC: 500mila europei seguiti dagli anni Novanta hanno mostrato che chi era snello, poi è diventato sovrappeso o obeso; chi era sovrappeso è diventato obeso; e chi era già obeso è diventato gravemente obeso. In tutti e tre i casi chi è ingrassato è chi mangiava più proteine. Che ne pensa?
“Lo studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) è senza dubbio uno degli studi prospettici più mastodontici e coraggiosi mai intrapresi nella storia. Questo studio non è solo una fonte preziosa di informazioni dal punto di vista scientifico, ma ha contribuito a rilanciare un tema molto dibattuto e controverso, l’alimentazione, che negli ultimi anni è diventato molto eterogeneo spaziando dal dibattito sul veganismo e vegetarianismo al tema caldo dell’alimentazione OGMgm, alla tossicità dei prodotti della filiera. Come detto precedentemente, l’eccessivo consumo proteico, modificando la funzione epatica e renale, può contribuire a peggiorare lo stato di salute e, quindi, a lungo termine anche il peso di un individuo può aumentare. Probabilmente il risultato dello studio EPIC andrebbe visto anche alla luce dell’esercizio fisico di questi 500mila partecipanti”.

Quali categorie di persone non dovrebbe mai seguire una dieta iperproteica?
“La dieta iperproteica è sconsigliata a tutti i pazienti con insufficienza epatica e renale, anche a livello lieve, e alle donne in gravidanza”.

E arriviamo alla dieta chetogenica: perché viene inserita erroneamente tra quelle iperproteiche?
“Il nostro organismo, per sviluppare energia, preferisce utilizzare la base di zuccheri attraverso il ciclo chimico di Krebs, che si produce all’interno dei nostri mitocondri e che permette di sviluppare energie per alimentare battito cardiaco, respirazione, attività intestinale e renale, insomma tutte le funzioni biologiche del nostro organismo… È il cosiddetto metabolismo basale; se ci manteniamo all’interno di un regime alimentare tipico della dieta mediterranea con consumo di carboidrati complessi e integrali di 100-150 g al giorno, e se in media come attività fisica facciamo almeno 30-40 minuti di camminata giornaliera, lo zucchero che assumiamo è sufficiente per queste esigenze fisiche e metaboliche. Quando invece togliamo zuccheri dall’alimentazione, scendendo sotto la quantità di circa 50 g al giorno, formiamo i corpi chetonici perché in presenza di ridotti livelli di ossalacetato questi non permettono all’acetil CoA di ‘entrare’ nel ciclo di Krebs. Ciò permette di utilizzare le riserve di grasso messe da parte quando si è assunto più zucchero di quello consumato per formare energia. Si tratta di un processo che ci ha permesso di superare le carestie del passato. In sintesi, una dieta chetogenica non è iperproteica, ma una dieta a bassissimo consumo di zuccheri”.

Per chi è più indicata?
“È consigliata a chi presenta un’elevata massa grassa: lo schema chimico che attivi ti fa metabolizzare le riserve di grasso che hai messo da parte. Produci corpi chetonici che hanno un’azione antinfiammatoria naturale contrariamente agli zuccheri che possono essere molto infiammatori, quando gli zuccheri sono assunti senza esercizio fisico. I corpi chetonici sono anoressizzanti naturali e quindi chi usa questo schema dietetico raramente ha fame”.

Per quanto tempo può essere seguita?
Questa dieta fu proposta per la prima volta negli anni ‘20 per trattare i bambini epilettici farmaco-resistenti. I corpi chetonici infatti producono un efficace effetto calmante sul circuito elettrico-cerebrale. Questi bambini hanno poi seguito una dieta chetogenica per tutta la vita. In altre parole, l’assenza di zuccheri semplici non è problematica: noi ci siamo sviluppati come esseri umani con un’alimentazione a base di bacche, semi oleosi, frutti, cacciagione, facendo molta attività fisica; i cereali sono arrivati molto dopo lo sviluppo dell’uomo. Quindi non è una dieta di per sé che può dare problemi, ma va controllata nel tempo, sotto controllo medico – anche perché all’inizio di questa dieta si perdono sali minerali che devono essere integrati – e per il periodo in cui si deve raggiungere l’obiettivo di perdita dei chili di troppo”.

La dieta mediterranea resta però l’ideale da consigliare.
“Se hai un peso normale e vuoi mantenerlo, per l’attività fisica che fai, la dieta mediterranea è assolutamente consigliata; il problema nasce per chi accumula molti chili di troppo. Teniamo inoltre conto che molti pazienti cronici come i cardiopatici, i diabetici e molti altri sono pazienti dismetabolici: un’attenzione al consumo di zuccheri e al movimento fisico sarebbe stata altamente auspicabile per prevenire le malattie croniche così diffuse oggi”.

Quando i corpi chetonici possono rappresentare un fattore di rischio?
“Per esempio, in assenza di insulina. Il coma cheto-acidosico avviene nel diabete di tipo 1, quindi in persone in cui il pancreas non produce insulina che ha il compito di fare utilizzare lo zucchero come nutrimento per le cellule. Un individuo con normali livelli di insulina non può arrivare a produrre eccesso di corpi chetonici, tranne se non li assume a parte, come succede in alcuni che frequentano la palestra e possono abusare di chetoni”.

La dieta chetogenica è utilizzata in ambito ospedaliero come coadiuvante per le terapie oncologiche?
“Sì, negli ultimi anni è impiegata per esempio nei pazienti con cancro all’intestino, nel carcinoma mammario, in caso di tumore prostatico perché i corpi chetonici hanno un’azione antinfiammatoria. La base fisiopatologica per l’uso di diete a basso o bassissimo consumo di zuccheri considera che la cellula neoplastica si nutre di zucchero per cui se la affamiamo del suo nutrimento principale rallenta la sua crescita. I dati a disposizione su questo meccanismo non sono ancora sufficienti per ricavare conclusioni nette, ma sempre più ricerche si stanno accumulando negli ultimi anni”.

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