Rispetto al 2008 i primi figli nati in Italia nel 2021 sono il 34,5% in meno, ovvero 186.485, e rappresentano il 46,6% del totale dei nati. I primogeniti sono il 2,9% in meno sul 2020 (-5.657) e il calo progressivo e inarrestabile è iniziato 14 anni anni fa. E non si è mai fermato. E da allora anche i figli di ordine successivo al primo sono diminuiti del 26,8%. A rivelarlo è il rapporto sulla Natalità e fecondità della popolazione residente – Anno 2021 dell’Istat, che traccia il profilo di un Paese dove nascono sempre meno bambini e dove il livello di fecondità delle donne tra 15 e 49 anni è valutato con un valore medio di 1,25 figli (1,24 nel 2020), in lievissima ripresa dopo un lungo periodo di diminuzione in atto dal 2010, quando si era registrato il massimo relativo di 1,44 figli per donna. Inoltre un bimbo su tre nasce fuori dal matrimonio. Di rilievo anche il ruolo della pandemia: la discesa marcata delle nascite osservata nel bimestre novembre-dicembre 2020 (-9,5% rispetto allo stesso periodo del 2019) è proseguita nei primi mesi del 2021, evidenziando a gennaio il più ampio calo mai registrato (-13,2%) e lasciando ben pochi dubbi sul ruolo svolto dal Covid. Il crollo delle nascite tra fine 2020 e inizio 2021 è infatti riferibile ai mancati concepimenti della prima ondata pandemica.

La forte contrazione dei primi figli rispetto al 2008 interessa tutte le aree del Paese – ad eccezione della Provincia autonoma di Bolzano che presenta un lieve aumento – ed è superiore a quella riferita a tutti gli ordini di nascita in quasi tutte le regioni italiane del Nord e del Centro. Un fenomeno che testimonia la difficoltà che hanno le coppie, soprattutto le più giovani, nel formare una nuova famiglia con figli. Al Centro spetta il primato della denatalità complessiva (-34,3%) e dei nati del primo ordine (-38,2%), con l’Umbria che presenta la diminuzione più accentuata (-36,7% nel complesso e -40,5% per il primo ordine). Anche le regioni del Nord registrano diminuzioni significative, con il calo maggiore in Valle d’Aosta (-42,6% nel complesso e -48,4% per il primo ordine). La minore denatalità, che resta comunque di assoluto rilievo, si registra nelle Isole (-28,2% per il totale dei nati e -29,8% sul primo ordine) soprattutto per le nascite della Sicilia (-25,3% sul totale e -27,0% per i primi figli). Tra le cause del calo dei primi figli vi è la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine, a sua volta dovuta a molteplici fattori: il protrarsi dei tempi della formazione, le difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, una tendenza di lungo periodo di bassa crescita economica, oltre ad altri possibili fattori di natura culturale.

I livelli di fecondità – Non erano mai stati così bassi dai primi anni duemila. Tuttavia, in quegli anni la tendenza indicava un recupero, dopo il minimo storico di 1,19 figli per donna registrato nel 1995, attribuibile in larga misura al crescente contributo delle donne straniere. Nel 2003, ad esempio, la fecondità delle straniere era pari a 2,47 figli per donna, ben distante dal valore di 1,87 registrato nel 2021 (leggermente inferiore al 1,89 del 2020). Si conferma al Nord il primato dei livelli più elevati di fecondità riferito al totale delle residenti (1,31 nel Nord-est e 1,26 nel Nord-ovest), soprattutto nelle Province Autonome di Bolzano e Trento (rispettivamente 1,72 e 1,42), in Veneto (1,30), in Lombardia e in Emilia-Romagna (1,27).

Nel complesso i livelli di fecondità del Mezzogiorno si attestano sulla media nazionale (1,25 figli per donna); tuttavia sono degni di nota i valori registrati in Sicilia (1,35) e Campania (1,28). Al Centro il livello di fecondità è risalito da 1,17 a 1,19. La Sardegna continua a presentare il valore più basso (0,99), anche se in lieve ripresa rispetto al 2020. Le differenze territoriali sono spiegate dal diverso contributo delle donne straniere: 1,96 al Nord, 1,63 al Centro e a 1,87 al Mezzogiorno. La fecondità delle cittadine italiane è passata da 1,17 del 2020 a 1,18 nel 2021, restando sotto il minimo storico del 1995 che, seppur riferito al complesso della popolazione allora residente, risulta prossimo alla fecondità delle sole cittadine italiane, data la bassissima incidenza dei nati da donne straniere a metà degli anni Novanta. Il numero medio di figli per donna delle italiane è in lieve rialzo al Nord (da 1,14 a 1,16) e in egual misura nel Mezzogiorno (da 1,21 a 1,22). Presenta un lieve aumento anche il Centro (da 1,11 del 2020 a 1,13 del 2021). Al Nord a detenere il primato della fecondità delle italiane resta sempre la Provincia autonoma di Bolzano (1,64) seguita dalla Provincia autonoma di Trento (1,34). Tra le regioni del Centro, il livello più elevato si osserva nel Lazio (1,15) mentre nel Mezzogiorno il picco si registra in Sicilia (1,32) e Campania (1,27); in Sardegna si registra il valore minimo pari a 0,97, in aumento rispetto allo 0,94 del 2020.

Le donne straniere – Dal 2012 al 2021 diminuiscono anche i nati con almeno un genitore straniero (21.461 in meno) che, con 85.878 unità, costituiscono il 21,5% del totale dei nati. Le boomers straniere, che hanno fatto il loro ingresso regolarmente come immigrate o sono “emerse” o sono stare ”ricongiunte” a seguito delle regolarizzazioni di inizio secolo, hanno realizzato nei dieci anni successivi buona parte dei loro progetti riproduttivi nel nostro Paese, contribuendo in modo importante all’aumento delle nascite e della fecondità di periodo. Ma le cittadine straniere residenti, che finora hanno parzialmente riempito i “vuoti” di popolazione femminile ravvisabili nella struttura per età delle donne italiane, stanno a loro volta invecchiando. I nati da genitori entrambi stranieri, scesi sotto i 70mila nel 2016, continuano a diminuire nel 2021 attestandosi a 56.926 (quasi 23 mila in meno rispetto al 2012), anche per effetto delle dinamiche migratorie nell’ultimo decennio, e costituiscono il 14,2% del totale dei nati. I nati in coppia mista, passati da 27.445 del 2012 a 28.952 del 2021, presentano un andamento oscillante. Il crescente grado di ”maturità” dell’immigrazione nel nostro Paese, testimoniato anche dal notevole aumento delle acquisizioni di cittadinanza italiana, rende però sempre più complesso misurare i comportamenti familiari dei cittadini di origine straniera. Si riscontra, infatti, un numero rilevante di acquisizioni di cittadinanza proprio da parte di quelle collettività che contribuiscono in modo più cospicuo alla natalità della popolazione residente. Nel 2021 hanno acquisito la cittadinanza italiana 121.457 stranieri. Le donne sono 61.544, il 50,7% del totale e, di queste, il 57,9% ha un’età compresa tra 15 e 49 anni. Le donne albanesi divenute italiane nel 2021 sono oltre 11 mila, il 17,9% del totale; quelle marocchine circa 8.200 (13,3%) e quelle di origine rumena poco meno di 5.600 (9,1%). Nel complesso, queste collettività rappresentano oltre il 40% delle acquisizioni di cittadinanza da parte di donne straniere, con quote in età feconda rispettivamente pari a 59,5%, 52,1% e 64,0% .

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