“Sono cose che possono succedere anche in società di medio livello, non solo di élite. Io ho spesso visto agire in questo modo e tante mie avversarie in gara mi raccontavano le stesse cose. Non è il problema di pochi: è il problema di una mentalità“. Chiara Niccolini, ex atleta, fisioterapista e oggi allenatrice di ginnastica ritmica, ha deciso di raccontare la sua esperienza dopo aver letto le reazioni agli abusi e alle violenze psicologiche che per prime alcune atlete e poi molte altre hanno avuto il coraggio di denunciare. Sono in corso le indagini, sia della procura di Brescia che di quella federale, per tentare di accertare fatti e responsabilità. Nel mondo della ginnastica ritmica c’è una sorta di chiusura nei confronti di chi ha avuto la forza di raccontare abusi e comportamenti scorretti: “Qualcuno vuole insinuare che le mie colleghe ginnaste e allenatrici che hanno denunciato siano in qualche modo deboli“, spiega Niccolini a ilfattoquotidiano.it. La sua esperienza personale, prima da ginnasta e poi da allenatrice, è invece la dimostrazione che le violenze psicologiche denunciate dalle ginnaste non sono la conseguenza di qualche mela marcia, bensì di una mentalità da sempre presente in alcuni ambienti, anche se ovviamente da non confondere con la totalità del mondo della ginnastica ritmica. Prova che certi episodi siano sempre accaduti è un’altra testimonianza arrivata a ilfattoquotidiano.it, da parte di una persona che preferisce rimanere anonima. Lavorava per la squadra nazionale di ginnastica ritmica prima delle Olimpiadi di Atlanta 1996. E già allora, quasi 30 anni fa, esisteva il rituale della “pesa” in cui le atlete venivano insultate per aver preso anche solo un paio di etti: “Leggendo le dichiarazioni delle atlete di oggi che sfortunatamente hanno vissuto queste esperienze terribili, io rivedevo in tutto e per tutto gli stessi comportamenti che venivano tenuti al tempo”.

Dopo le prime denunce a Repubblica di Anna Basta e Nina Corradini, l’associazione ChangetheGame – impegnata a proteggere atlete e atleti da violenze e abusi – ha calcolato che solo a metà novembre erano arrivate già oltre 100 segnalazioni, firmate o anonime, di abusi. Oltre ai vertici della Federazione, che hanno sostenuto di non essere a conoscenza di nulla, sono emersi anche presunti insabbiamenti relativi a denunce precedenti. Mentre il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha dichiarato: “Bisogna capire la reale dimensione del fenomeno. La ginnastica più di altri sport ha nella questione del peso, uno dei suoi aspetti cruciali. Un certo grado di rigore e di ‘durezza’ è inevitabile”. Il problema però è proprio lo stereotipo del corpo magrissimo ad ogni costo. “Si chiedono alle ginnaste cose impensabili – afferma Niccolini – ma il problema principale è che si mette in mano alle allenatrice e allenatori un ruolo che non è quello corretto, quello di occuparsi anche di gestire il peso e decidere cosa mangiare e cosa no. Non può essere così, ci sono dei ruoli che giustamente prevedono delle competenze, degli studi. E se una persona non li ha fatti questi studi non può invadere altri campi”.

Chiara Niccolini alla Finale Nazionale del campionato di Serie B, anno 2008

Il “massacro” della pesa – Niccolini è stata a una ginnasta di alto livello prima del 2010: “Avevo 13 anni, pesavo 33 chili e le mie compagne più grandi venivano indotte a fare confronti con il mio di peso. E già questa cosa ovviamente era molto molto sbagliata. Mi ricordo che mie compagne il giorno della pesa non mangiavano a pranzo e per tutto l’allenamento non bevevano una goccia d’acqua”. E ancora: “Una mia compagna sveniva durante gli allenamenti e doveva mangiare mezza bustina di zucchero per tenere fino alla fine. Addirittura, a un’altra mia compagna di squadra che aveva il diabete veniva impedito di fermarsi a mangiare un pezzettino di cracker. Chiaramente lei doveva tenere sotto controllo la glicemia, ma veniva guardata malissimo appena si fermava a mangiare”. Il momento della pesa, che ritorna in molte denunce di queste ultime settimane, era un rituale già presente a metà degli anni 90, quando al centro tecnico federale della nazionale italiana di ginnastica ritmica a Castellanza si preparavano i mondiali di Budapest e le Olimpiadi di Atlanta del 1996: “La pesa veniva fatta davanti a tutti, tutti i giorni. Dramma se per caso non eri andato in bagno e avevi due etti in più del giorno prima. Non necessariamente insulti ingiuriosi, però il messaggio era sempre quello: ‘Guardati, guarda come sei grossa, ma dove vuoi andare conciata così?’. Io lo chiamavo il ‘massacro‘”, racconta la persona che all’epoca lavorava per la Federazione.

L’ossessione per il cibo – “Ero stata chiamata per un ritiro con la nazionale junior individualiste”, prosegue il racconto di Niccolini. “Al primo giorno di quel ritiro io e altre ginnaste prima del pranzo avevamo iniziato a mangiare un po’ di pane con l’olio. Al secondo giorno ci hanno tolto l’olio, al terzo giorno ci hanno tolto anche il pane. Mia mamma si ricorda che io ho la sera le telefonavo dicendo che avevo fame, piangendo”, spiega la ex ginnasta, sottolineando che il ritiro prevedeva 8 ore di allenamento al giorno. La paranoia del cibo è un’altra costante nella mentalità malata di alcune allenatrici. “Un giorno tre atlete erano cresciute di 1-2 etti e mi fu ordinato di fare una perquisizione nelle stanze”, racconta la fonte anonima. “Io andai e io trovai delle fette di pancarrè, trovai i pezzi di Parmigiano Reggiano. Non era la volontà di trasgredire, era un’esigenza, questa era fame. A pranzo alle atlete venivano dati 7 maccheroni, ma non per modo di dire. Quando il medico aveva detto che dovevano mangiare di più”. Quando lavorava al centro federale, ha assistito a diete prescritte dai medici e poi stracciate: “Avevamo questo medico che veniva da Arezzo ogni 2-3 settimane, pesava le ragazze e predisponeva per ognuna una dieta. Non appena lui se ne andava, l’allenatrice prendeva la dieta, la stracciava e dimezzava le quantità previste, senza motivazione alcuna. E le ragazze si ritrovavano a mangiare la metà di quello che aveva prescritto il medico“.

L’altra ossessione: la magrezza – Niccolini racconta un altro esempio di quella mentalità che da anni è presente in alcuni ambiti della ginnastica ritmica: “Mi dovetti fermare per parecchi mesi per via di una malattia, dovetti fare un ricovero. E purtroppo ingrassai di una decina di chili. Da quel momento non mi venne più nemmeno permesso di partecipare ai test valutativi. O meglio, dopo la mia prova, mi dissero che io ‘non ero in gara’, ma che la mia era solamente una ‘esibizione'”, racconta l’ex ginnasta. Che poi ha vissuto altre situazioni simili anche nei suoi primi anni da allenatrice: “Ho assistito a scelte tecniche infondate“. Niccolini ricorda di una ragazza con “problemi conclamati di anoressia” che l’allenatrice fece gareggiare ugualmente “perché serviva lei durante la prova di squadra”. In un altro caso, invece, “una ginnasta fu tolta dalla formazione a favore di una ginnasta più magra, anche se meno forte tecnicamente”. E ancora: “Una ragazzina che avrà avuto meno di 14 anni fu retrocessa dalla categoria Gold alla Silver perché aveva preso qualche chilo. E la sua allenatrice la prendevo in giro, le diceva che aveva ‘il culone‘”. Situazioni che ritornano anche nella testimonianza anonima relativa agli anni 90: “Quando una ginnasta faceva un errore tecnico, la correzione era: ‘Cazzo, sei in ritardo, e poi guardati come sei grossa‘”.

Chiara Niccolini insieme alle sue atlete

La mentalità malata e la bellezza della ritmica – La persona che lavorava al centro federale prima di Atlanta 96 racconta: “Le ginnaste stavano preparando le Olimpiadi, l’evento sportivo più importante del mondo. È sacrosanto che ci sia anche una certa gestione della disciplina in un gruppo di ragazze adolescenti, perché altrimenti è facile perderle via. Ma poi c’era questa ossessione per la gestione del peso ‘perché le russe sono magre, perché le bulgare sono magre'”. E ancora: “Ragazze di 15 e 17 anni, sottoposte a un lavoro fisico importante in una fascia d’età particolare, dove l’assenza del ciclo era la normalità. Normale, nel senso che “ah le russe fanno anche peggio”. Ma non era proprio normale”. Una mentalità malata che dopo quasi 30 anni non è stata sradicata, almeno stando alle denunce delle atlete in queste ultime settimane. Denunce che hanno dato fastidio, perché sembrano mettere in discussione l’intero mondo della ginnastica ritmica. Niccolini non è d’accordo: “Io ho preso in mano una società sportiva in provincia di Varese (la ASD ginnica Arsagym). Attualmente sono la direttrice tecnica e chiaramente faccio del mio meglio per mettere sempre la salute delle ginnaste prima di quello che è il risultato sportivo“. “Secondo me – conclude – non dobbiamo avere paura che la ginnastica ritmica possa essere impoverita dalle denunce, temendo che i genitori non porteranno le atlete in palestra. Io penso che chi lavora bene non debba avere nessun tipo di paura“.

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