Il governo Meloni continua a sostenere che l’amplissima “tregua fiscale” prevista dalla prossima legge di Bilancio non è un condono, nonostante la relazione tecnica del disegno di legge dica il contrario. A ribadire la tesi è stato venerdì il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, durante l’audizione in commissione Bilancio alla Camera. “Non abbiamo introdotto alcuna forma di sanatoria o condono, come pure da qualche parte è stato erroneamente sostenuto”, ha detto, dopo aver sostenuto che l’intervento “prende le mosse dalla considerazione delle difficoltà economiche” di cittadini e imprese (anche se, come ha fatto notare l’ex sottosegretaria e oggi deputata Pd-Idp Maria Cecilia Guerra, per accedere ai benefici non c’è alcuna clausola che preveda verifiche su questo). “Non sono stati previsti abbattimenti dell’ammontare delle imposte dovute” e “le misure si autocompensano quasi integralmente, nel 2023, e danno poi risorse destinate a coprire gli interventi di carattere sociale della manovra”. Entrambe le affermazioni sono smentite dal testo.

Sul primo punto, l’incongruenza è evidente: come è noto uno dei 10 articoli che rientrano nella “tregua” prevede lo stralcio tout court delle cartelle fino a 1000 euro affidate alla Riscossione dal gennaio 2000 al dicembre 2015: quindi quelle imposte dovute vengono “abbattute” integralmente e lo Stato rinuncia ad incassarle, con un impatto negativo previsto di 217 milioni nel 2023 e 451,5 milioni complessivi nei prossimi nove anni. Verranno peraltro annullati tutti i “singoli carichi” fino a 1000 euro, con il risultato che un contribuente con diversi piccoli debiti potrà godere di un condono anche di molte migliaia di euro.

Giorgetti ha poi detto che le misure “si autocompensano quasi integralmente nel 2023”. Come ilfattoquotidiano.it ha scritto lunedì scorso, la relazione tecnica della manovra dice tutt’altro. Prendiamo in esame solo il prossimo anno: lo stralcio delle mini cartelle costerà appunto 217 milioni di minori incassi. Altri 386,9 milioni saranno sottratti dalla definizione agevolata delle somme dovute a seguito del controllo automatizzato delle dichiarazioni (avvisi bonari) con pagamento di sanzioni ridotte al 3%. Il ravvedimento speciale delle violazioni tributarie attraverso il pagamento in due anni di “un diciottesimo del minimo edittale delle sanzioni”, oltre ad imposta e interessi dovuti, determina una perdita di 119,6 milioni. La definizione agevolata delle cartelle sopra i 1000 euro affidate all’agente della riscossione tra 2000 e 30 giugno 2022, quindi anche recentissime, farà perdere all’erario 913 milioni solo il primo anno. In totale, i mancati incassi 2023 ammonteranno a 1,6 miliardi. Le maggiori entrate si fermano invece a 331 milioni che dovrebbero arrivare dalla definizione agevolata delle controversie tributarie e dalla rinuncia agevolata dei giudizi tributari in Cassazione.

Il saldo per il solo 2023 è quindi negativo per 1,3 miliardi. E negli anni successivi la situazione non si ribalta: i condoni avranno un costo quantificato in 3,6 miliardi tra 2023 e 2032, mentre le entrate aggiuntive ammonteranno a 1,9 miliardi. L’operazione, dunque, non fornisce risorse ma al contrario sottrae 1,7 miliardi netti alle casse pubbliche.

Gli introiti fiscali aggiuntivi derivano da tutt’altre voci: si fa cassa per ben 3,6 miliardi con proroga di un anno delle attuali 93 concessioni per la raccolta del gioco a distanza a fronte del pagamento di un contributo una tantum, 2,5 miliardi dall’addizionale Ires (“contributo di solidarietà”) sulle imprese energetiche, 1 miliardo è atteso dall’ennesima possibilità di rivalutare terreni e partecipazioni (e per la prima volta anche azioni quotate) versando un’imposta sostitutiva del 14%, 277 milioni dall’assegnazione agevolata di beni ai soci, 436 milioni dal generoso sconto (aliquota sostitutiva del 14% invece di quella ordinaria del 26%) sull’imposta sulle plusvalenze realizzate da chi ha quote in fondi di investimento o assicurazioni come le polizze di capitalizzazione, 336 milioni dall’imposta sostitutiva sulle riserve di utili non distribuiti che “comporta la possibilità di liberare le riserve detenute presso i Paesi o territori a fiscalità privilegiata”, 253 milioni dall’aumento delle accise sui tabacchi. Per un totale di ben 8,4 miliardi che chiariscono il quadro delle coperture di una manovra lorda che vale 42,3 miliardi. Accanto ai 21 miliardi di maggior deficit ci sono poi come è noto le minore spese legate al taglio dell’indicizzazione delle pensioni “(“Facciamo un intervento doloroso sulle pensioni non esattamente minime, doloroso ma che corregge di circa 10 miliardi su 3 anni l’andamento”, ha detto Giorgetti) e alla riduzione dei fondi per il reddito di cittadinanza.

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