di Giuseppe Ungherese*

La nuova legge di bilancio ha confermato una notizia che era nell’aria da settimane: in perfetta continuità col governo Draghi è arrivato infatti il quarto rinvio (negli ultimi due anni) dell’entrata in vigore della Plastic Tax. Probabilmente un record. Figlia di una felice intuizione del governo Conte II, la tassa sui manufatti in plastica monouso (che non si applica alla plastica riciclata) non è mai entrata in vigore, non solo per questioni di indirizzo politico ma anche per alcune difficoltà di applicazione. In questo lasso di tempo ha subìto alcune modifiche, passando da 1 a 0,45 centesimi di euro per chilo di plastica.

In sostanza finora hanno prevalso sempre e solo gli interessi dell’industria, a scapito delle persone e del pianeta. Non solo la lobby del monouso, ma anche quella delle fonti fossili. Infatti, la quasi totalità della plastica vergine immessa in commercio ogni anno nel mondo deriva proprio dalla raffinazione di idrocarburi come petrolio e gas fossile, aggravando così la crisi climatica.

Quello delle plastiche da imballaggio è un comparto molto importante in Italia, sia dal punto di vista economico che occupazionale. Ma è altrettanto vero che il monouso in plastica crea diversi problemi per gli impatti derivanti dalla dispersione di rifiuti nell’ambiente, per la loro gestione a fine vita e per i rischi sulla salute umana. Stando ai dati più recenti diffusi da Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), circa la metà degli imballaggi immessi in commercio nel nostro Paese trova una nuova vita in manufatti riciclati. L’altra metà finisce bruciata negli inceneritori o smaltita in discarica. Proprio per ridurre i quantitativi destinati a pratiche di smaltimento tutt’altro che circolari è necessario riconvertire il settore verso la sostenibilità.

Si può fare ad esempio aumentando la disponibilità di materie provenienti da riciclo con l’introduzione, laddove possibile, di sistemi di raccolta altamente performanti (un esempio su tutti il deposito su cauzione per le bottiglie, o Drs, la cui istituzione in Italia è bloccata dall’assenza del decreto attuativo). Oppure intervenendo sul design dei manufatti per renderli realmente riciclabili. Ma tutto ciò non avviene, tutto resta immutato.

In ambito comunitario, proprio per favorire l’uso di materiali riciclati e ridurre lo smaltimento in discarica o negli inceneritori, è stato imposto ai singoli Stati membri un contributo pari a 0,8 centesimi di euro per chilo di rifiuti in plastica monouso non riciclati (noto anche come Plastic Tax europea, anche se dall’Europa ci tengono a dire che non si tratta di una vera e propria tassa). Stando ai dati europei, al netto di una riduzione forfettaria, questa tassa costa all’Italia circa 760 milioni di euro l’anno. In assenza di un balzello che interessi l’industria (il costo doveva essere coperto proprio dalla Plastic Tax nazionale), per effetto delle scelte dell’attuale governo e di quello precedente, tale tassa comunitaria grava direttamente sulle tasche di noi contribuenti.

Disincentivare la produzione di imballaggi monouso fabbricati in materiale vergine è una raccomandazione che accomuna le pubblicazioni dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), secondo cui è necessaria per favorire la circolarità e i documenti preparatori diffusi dalle Nazioni Unite in vista del prossimo incontro internazionale sul Trattato globale sulla plastica. Tant’è che alcune nazioni si sono già mosse: in Spagna la tassa entrerà in vigore il prossimo gennaio (con importo uguale a quello italiano), mentre nel Regno Unito la Plastic Tax è in vigore già dallo scorso aprile. Il governo britannico stima che tale provvedimento potrebbe far crescere del 40 per cento in un solo anno il ricorso a imballaggi fabbricati con materiale riciclato, facendo risparmiare circa 200mila tonnellate di emissioni di gas serra nel periodo 2022-2023. Se questi numeri saranno confermati, ciò si tradurrà in un vero volano per lo sviluppo del mercato delle materie prime seconde.

È uno sviluppo che, però, al nostro Paese evidentemente non piace nei fatti. A parole, siamo i campioni europei del riciclo: governo e industria ce lo hanno ripetuto ossessivamente mentre si opponevano al regolamento europeo sui rifiuti da imballaggio. Ma se è così, perché la politica e l’industria continuano ad avere tanta paura dell’introduzione della Plastic Tax, concepita proprio per favorire ancora di più il ricorso a materiale riciclato?

*Responsabile Campagna Inquinamento Greenpeace Italia

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