“Non voleva che andassi a lavorare. Un giorno mi ha anche tolto il bancomat. Non sapevo più come fare la spesa. Erano tutti modi per gestirmi”. Grazia racconta così ad ActionAid l’inizio del peggio: poco dopo è scappata da casa insieme ai suoi figli, per proteggerli – e proteggersi – da un compagno violento. Ora vive con la sua famiglia d’origine. Non lo ha scelto, specifica: è andata lì perché non aveva alternative. Vorrebbe una casa per sé e per i suoi bambini, ma non riesce a ottenerla. Mancano i soldi: come molte altre donne nella sua stessa condizione ha ricevuto il Reddito di libertà, che non corrisponde a una busta paga. Per questo motivo non le è mai stato dato un appartamento in affitto. Da quando si è messa in salvo tre anni fa ha ricevuto aiuto dai suoi parenti e dal Cav – centro antiviolenza – a cui si è rivolta. “Ma lo Stato dov’è?”, si chiede. “Dov’è quando ho bisogno di avere una casa, uno stipendio e di ricominciare tutto da capo? Cosa stiamo aspettando?.

Il report di ActionAid ‘Diritti in bilico’ cerca di rispondere, analizzando le politiche e le risorse nazionali e regionali a sostegno delle donne vittime di violenza. Per il periodo 2015-2022, le istituzioni hanno stanziato circa 157 milioni per sostenere chi, fra loro, non era autonoma economicamente. Nel 2020, le donne assistite dai cav senza lavoro o risorse utili all’autonomia erano la netta maggioranza, pari al 60,5%. Le risorse servono per fornire supporto al reddito, promuovere il reinserimento lavorativo, garantire una casa sicura e sostenibile nel lungo periodo. I fondi stanziati, secondo i calcoli di ActionAid, ammontano a 54 euro al mese. A fronte di tante vittime, come sanno i centri antiviolenza. Ogni anno si rivolgono a loro in media in 50mila. Il Reddito di libertà di cui parla Grazia è stato istituito nel maggio 2020 con il Dl Rilancio: consiste in 400 euro al mese per un massimo di 12 mesi ed è finanziato con 12 milioni di euro per il periodo 2020-2022.

Secondo i dati Inps, nel primo anno ne hanno beneficiato solo 600 donne a fronte delle 3.283 richieste presentate. La maggioranza proviene dalla Lombardia, seguite dalla Puglia e dalla Campania. Con i fondi a disposizione si calcola che solo 2.500 donne potranno avere accesso alla misura: sono poche, dato che secondo un’elaborazione dei dati Istat ne avrebbero bisogno circa 21mila donne all’anno. Oltre allo Stato ci sono le Regioni, che in alcuni casi si sono mosse in anticipo. La Sardegna, per esempio, è arrivata prima di tutti le altre e nel 2018 ha promosso il proprio Reddito di libertà, che prevede un minimo di 780 euro per un massimo di tre anni. Anche il Lazio ha istituito il Contributo di libertà che arriva fino a 5mila euro una tantum. C’è poi la Puglia, con il Reddito di dignità. Attenzione, però: le misure nazionali e quelle locali spesso entrano in conflitto e – denuncia ActionAid – creano disparità territoriali.

Dei 157 milioni citati sopra, inoltre, 124 sono per la partecipazione delle vittime al mercato del lavoro: il 72% di queste risorse vanno a sostenere interventi di mantenimento dell’occupazione e il restante 28% (34,8) per quelli di re/inserimento lavorativo. Nel 2015 è stato inoltre introdotto il congedo indennizzato per vittime di violenza, per cui sono stanziati in media circa 12 milioni annui. Le domande per quest’ultimo si sono impennate: dalla sua introduzione a oggi si registra una crescita del 2.662% (da 50 nel 2016 a 1.331 nel 2021). Non è seguita però una parallela crescita di domande accolte. Nel 2021, infatti, solo il 32% delle domande presentate è stato accettato (432 a fronte delle 1.331). Per rispondere alla domanda di Grazia – “cosa stiamo aspettando?” – ActionAId ha lanciato una petizione, rivolta a istituzioni nazionali, regionali e locali. Il nome è indicativo: #freenotfreezed – Libere dalla violenza, congelate dalla politica.

“Per vivere una vita libere dalla violenza”, ha dichiarato Isabella Orfano di Action Aid, “le donne hanno bisogno di un reddito sufficiente una casa sicura, un lavoro dignitoso e servizi pubblici funzionanti: diritti fondamentali che le istituzioni italiane non sono in grado di garantire a tutte e in tutti i territori. Il rischio è di far tornare le donne, spesso con figlie e figli, dagli autori di violenza, vanificando il loro percorso verso l’autonomia. Quanto tempo ancora le migliaia e migliaia di donne che hanno subito violenza dovranno aspettare prima di poter beneficiare di politiche e servizi strutturali che rispondano alle loro esigenze? Al governo chiediamo per l’ennesima volta di adottare politiche integrate e strutturali coinvolgendo tutti i Ministeri e gli uffici competenti. È questa l’unica via possibile affinché le donne possano affrancarsi con successo dalla violenza e affermare la loro libertà”.

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