Fino a 20mila euro per chi si sposa in chiesa, sempre che abbia la residenza in Italia da almeno 10 anni. Per chi opta per il Comune zero, nisba. Però concorre, che lo voglia o meno, al pagamento dell’altro matrimonio con le proprie tasse. Un assurdo che spinge lo stesso proponente al precipitoso passo indietro: “La proposta di legge a mia prima firma per questioni di oneri prevedeva un bonus destinato ai soli matrimoni religiosi, durante il dibattito parlamentare sarà naturalmente allargata a tutti i matrimoni, indipendentemente che vengano celebrati in chiesa oppure no”, fa sapere Domenico Furgiuele.

Resta agli atti quella proposta che istituisce una detrazione ad hoc per le spese in parrucchieri, tappeti, fiori e quant’altro. Un bonus che costerà ai contribuenti tutti – vale a dire laici, atei, buddisti etc – la bellezza di 716 milioni di euro. Con buona pace di tutti i precetti di laicità dello Stato, anche di rango costituzionale, e di non discriminazione religiosa, nonché di papiri di sentenze con i quali la Corte Costituzionale si è pronunciata in materia.

La materia dei matrimoni in chiesa, del resto, fa gola alla Lega che strizza così l’occhio al suo elettorato e alza un muro rispetto a confessioni con le quali non è mai andata d’accordo, quella islamica su tutte. Al tempo stesso rinfranca il modello di famiglia tradizionale a lei caro, da contrapporre a quelle allargate così invise. Una linea ipertradizionalista che inizia a irritare leghisti doc come Luca Zaia: giusto 24 ore fa, il governatore ha spronato il partito a lasciar cadere pregiudiziali verso gay, fine vita e le altre battaglie ideologiche che si scontrano con lo spirito dei tempi.

La proposta di legge non è propriamente nuova, l’aveva segnalata il Fatto.it il20 ottobre scorso tra le “stranezze” delle prime proposte della XIX Legislatura. Ma proprio questa spaccatura tra la parte più tradizionalista che piace a Salvini e quella modernista dei governatori la riporta in quota. Del resto il testo, firmato da una sfilza di deputati (a partire dal vice-capogruppo a Montecitorio Furgiuele) lascia molte perplessità. E’ accompagnato da una lunga premessa che dà conto della “crisi dei matrimoni religiosi” rispetto a quelli di rito civile che sono aumentati anche nella pandemia mentre i primi continuano a calare. Per i leghisti non è una tendenza legata allo spirito dei tempi che s’affranca dalla tradizione secolare ma tutta questione di soldi. E allora, questa la conclusione sillogica, li metta lo Stato.

“Il matrimonio civile – sostengono – è di per sé una celebrazione meno onerosa rispetto al matrimonio religioso”. E allora, mentre ancora si litiga su bonus per la casa, ecco il superbonus per i matrimoni celebrati in Chiesa. La formula prescelta è quella della detrazione del 20 per cento delle spese per il “matrimonio religioso”, modificando la legge 90 del 3 agosto 2013. E alla voce “spese” si può indicare di tutto: dagli ornamenti in chiesa come i fiori, la passatoia, i libretti, fino agli abiti per gli sposi, il servizio di ristorazione, le bomboniere. Perfino il coiffeur e il make-up della sposa o l’ingaggio del fotografo.

Gli sposi potrebbero ottenere un massimo di 2omila euro in cinque quote annuali. Non basta però sposarsi in chiesa: i beneficiari devono avere la cittadinanza da almeno 10 anni (“prima gli italiani”) e avere un reddito non superiore a 23mila euro o comunque non superiore a 11.500 euro a persona. Passasse il bonus matrimoni, per le casse dello Stato non sarebbe indolore: la misura costerebbe in tutto 716 milioni di euro, cioè 143,2 milioni per le cinque quote annuali. Cui andrebbero aggiunti i 10 milioni con cui sempre la Lega ha voluto sostenere i genitori separati con un bonus da 800 euro al mese. Norma per altro riscritta perché nella versione originale discriminava separati e divorziati. Il Decreto attuativo che aiuta i separati è approdato in Gazzetta Ufficiale il 26 ottobre 2022, 13 giorni prima della proposta norma che li aiuta a unirsi, ma solo se lo fanno in Chiesa.

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