Meno parlamentari vuol dire meno stipendi. Ma non meno soldi per i gruppi: il taglio delle poltrone, infatti, non ha coinciso con un taglio dei fondi. È uno strano cortocircuito quello che avviene alla Camera, dove diminuiscono i posti da deputato ma i soldi che ogni gruppi percepisce per ogni eletto aumentano. A raccontarlo è il Corriere della Sera, riportando i dati contenuti nel bilancio deliberato dall’Ufficio di presidenza di Montecitorio il 13 luglio scorso. Il governo di Mario Draghi era in crisi ma non era ancora certo l’approdo alle elezioni anticipate. Il ritorno al voto, come è noto, avrebbe ridotto il numero dei parlamentari per effetto della riforma costituzionale: e infatti alla Camera i deputati sono scesi da 630 a 400, mentre a Palazzo Madama i senatori sono diminuiti da 315 a 200.

Nella “previsione pluriennale” di Montecitorio decisa il 13 luglio, però, si è deciso di non modificare la “dotazione” dello Stato, cioè i fondi pubblici erogati per il funzionamento della Camera, che continuerà a percepire 943 milioni di euro ogni anno anche nel 2023 e nel 2024. E dunque il taglio dei 230 posti da parlamentare non ha portato a un risparmio. Certo meno seggi vuol dire meno stipendi: il fondo per le “indennità dei parlamentari” è in effetti diminuito dai 145 milioni del 2022 ai 93 del 2024. Nel capitolo dei “contributi ai gruppi”, però, ecco che le cifre restano uguali. Anche nel 2023 e nel 2024, infatti, Montecitorio continuerà a fornire 30,8 milioni di euro alle varie formazioni parlamentari. Nonostante i deputati siano diminuiti addirittura di un terzo. Facendo una rapida divisione vuol dire che i soldi previsti per ogni deputato aumentano di quasi un terzo. Se nell’ultima legislatura, infatti, i gruppi percepivano 49mila euro per ognuno dei 630 eletti alla Camera, in quella appena cominciata otterranno 77mila euro a testa per i 400 deputati. Tagliano le poltrone, ma non i portafogli.

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