La scena degli otto tennisti migliori al mondo che lo scorso anno passeggiavano e posavano sotto i portici di Torino per gli italiani era un sogno. C’erano Djokovic, Zverev, Medvedev, Tsitsipas e poi c’era un azzurro, Matteo Berrettini. Ma non finiva qui: la prima riserva dei “magici 8” era un altro italiano, Jannik Sinner, che poi entrò in gioco proprio per il forfait di Berrettini nella partita contro Zverev. Due italiani a giocare tra i maestri, uno di 25 e l’altro di 20 anni. Il futuro del tennis è azzurro, tutti lo pensano e tutti lo dicono, nessuno smentisce.

Un anno è passato, siamo di nuovo a Torino alle ATP Finals e nella foto di gruppo questa volta non appare nessun italiano, nemmeno tra le riserve. Sinner e Berrettini sono in questo momento al 15esimo e al 16esimo posto della classifica Atp, superati da tennisti che in questo anno sono cresciuti in maniera spaventosa come Alcaraz, ma anche da atleti che hanno ben gestito una stagione lunga e spossante, come il canadese Félix Auger-Aliassime o l’americano Taylor Fritz. Essere delusi è giusto, perché si pensava in primo luogo a una costanza maggiore anche nelle ovvie difficoltà che ha dovuto affrontare Sinner lasciando il suo allenatore Riccardo Piatti per seguire le idee di Simone Vagnozzi prima e Darren Cahill dopo. Logico uno scombussolamento tecnico e atletico in un tennista che ha dimostrato comunque di poter arrivare ovunque, quando un paio di viti saranno girate nel motore e nella testa. Matteo Berrettini invece ha avuto tanti piccoli problemi fisici che lo hanno frenato in diversi momenti della stagione e poi ha dovuto saltare per Covid l’evento che aveva cerchiato in rosso: Wimbledon.

Un anno di transizione, sfortunato, gestito con alcune disattenzioni e forse troppi test sotto diversi punti di vista ha portato all’assenza di italiani alle Finals. Non è una bocciatura definitiva né un allarme rosso di cui aver paura, ma iniziare a essere costanti e a fare punti dove serve, oltre che andare più avanti possibile negli Slam per Sinner, Berrettini e a breve anche per Musetti è necessario per non perdere troppe altre occasioni.

Quello che poi dice questo Master ancora prima di iniziare riguarda due evidenze anagrafiche. Ci sarà Nadal che a inizio anno vince 20 incontri consecutivi con l’Australian Open e dopo un infortunio da stress riesce a vincere il suo 14esimo Roland Garros. Gioca un grande Wimbledon ma il corpo ancora una volta si ribella. Problema ai muscoli addominali e assenza in semifinale. Da quel momento poco altro soprattutto per non spremere quel fisico devastato dagli anni di tennis che ha dovuto sopportare. Ci sarà Djokovic che invece ha vissuto il suo assurdo anno tra forfait per non essersi vaccinato (Australian Open e US Open), la vittoria di Wimbledon e tanti alti e bassi.

Questi due insieme a Federer hanno letteralmente annullato la generazione di mezzo, quello che oggi ha tra i 25 e i 35 anni, inseguendo vittorie impossibili contro i Big Three, mentre a sfidarli oggi ci sono tennisti che, tenendo conto anche delle due riserve e di Alcaraz, numero 1 del ranking assente per infortunio, vanno dai 19 ai 26 anni. Messa così, queste Atp Finals sembrano una sfida generazionale come poche altre volte si era vista. Da una parte i due grandi che ancora restano in ballo, dall’altra i giovani che vogliono sconfiggerli adesso, per poi imporsi definitivamente già nel prossimo futuro. E se la stagione dice che tre Slam li hanno vinti i vecchi maestri, è anche vero che gli ultimi tre Masters 1000 li hanno vinti altri. Gli US Open e Paris-Bercy hanno incoronato Alcaraz e Rune, due tennisti classe 2003. È la resa dei conti, probabilmente una delle ultime chiamate per il duo Rafa-Nole.

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