Dal Fondo monetario internazionale alla Commissione europea, le maggiori istituzioni sono concordi nel ritenere che gli aiuti contro lo choc energetico non devono essere (più) distribuiti a pioggia. E che non è il caso di calmierare i prezzi, che sono un “segnale” di scarsità e obbligano giocoforza a ridurre i consumi: meglio invece privilegiare i trasferimenti alle famiglie a basso reddito ed eventualmente alle imprese più vulnerabili. Il governo italiano uscente come si è mosso? Una nuova simulazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio sugli effetti redistributivi delle misure contro il caro prezzi varate tra giugno 2021 e settembre 2022 aiuta a rispondere. Il giudizio è in chiaroscuro e offre spunti di riflessione al futuro esecutivo, chiamato a prorogare o modificare i sostegni.

Le misure adottate finora, è il primo dato significativo, hanno ridotto nel complesso del 46% l’impatto dell’aumento dei prezzi sulle tasche delle famiglie. E l’azione dell’esecutivo ha avuto effetti progressivi. I nuclei più poveri, che senza sostegni avrebbero visto le proprie uscite salire addirittura del 10,9% perché i maggiori aumenti di prezzo hanno riguardato beni di prima necessità, hanno infatti visto la variazione della spesa fermarsi a +1,3% contro il 3,7% medio e il +3,8% sostenuto dalle famiglie che appartengono al decimo decile (le più ricche). Questo sia grazie agli interventi di “mitigazione tariffaria” – riduzione delle accise su benzina e gasolio, compensazione degli oneri di sistema sull’energia, taglio al 5% dell’Iva sul gas – sia per effetto di trasferimenti monetari come i bonus 200 euro e 150 euro, il rafforzamento del bonus sociale per elettricità e gas, la mini decontribuzione sui redditi bassi.

Ma attenzione: in termini assoluti, calcola l’Upb, “la ripartizione di questo ammontare di risorse” – 27 miliardi di cui poco meno della metà per la mitigazione tariffaria e il resto per i trasferimenti – “è moderatamente a vantaggio dei decili più elevati, con circa l’8,6 per cento di risorse che affluisce al primo decile e il 10,4 per cento che beneficia il decimo“. La contraddizione con le evidenze emerse sopra è solo apparente: il punto è che le famiglie più ricche, complici case e auto più grandi, tendono a consumare più energia. Se lo Stato ne calmiera i prezzi ottengono benefici proporzionali. Per esempio, la riduzione delle accise sui carburanti destinata al decimo decile “vale circa il 2,6% delle risorse complessivamente distribuite”, contro lo 0,4% che beneficia il decile più povero (circa 6,5 volte). In misura minore lo stesso vale anche per la riduzione di oneri di sistema e Iva.

Che fare allora, in un contesto di risorse scarse? Il documento dell’organismo indipendente contiene un suggerimento, sotto forma di “valutazione degli effetti distributivi di un diverso mix di politiche di sostegno, a parità di risorse impegnate”. L’idea è quella di archiviare o ridurre gli interventi sulle componenti tariffarie, “che attenuano il segnale di prezzo necessario per un uso efficiente delle risorse”, e dedicare invece più soldi ai trasferimenti compensativi. “La trasformazione di circa il 50% dello sconto sulle accise sui carburanti in un trasferimento potrebbe comportare una riduzione dell’onere di spesa per il primo decile rispettivamente di 0,6, 0,9 o 1,3 punti percentuali a seconda che la compensazione monetaria sia erogata con modalità analoghe al bonus 200 euro, al bonus 150 euro o ai nuovi bonus sociali”.

Se si puntasse tutto su questi ultimi, insomma, l’effetto sarebbe “la completa compensazione dell’aumento dei prezzi sulla spesa delle famiglie del primo decile“. Un assist non da poco, per un esecutivo che entrerà in carica in una fase di recessione tecnica e come primo atto sarà chiamato proprio a varare un nuovo provvedimento contro i rincari. Per poi mettere in cantiere la legge di Bilancio con le misure necessarie per affrontare il resto dell’inverno.

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