Con l’elezione del leghista Lorenzo Fontana, i due rami del parlamento hanno un nuovo presidente. Il profilo di Fontana è quello di un politico con una certa esperienza che ha ricoperto l’incarico di ministro ed è stato vicepresidente dalla Camera dei deputati. Tre lauree – Storia, Filosofia e Scienze Politiche – gli danno una preparazione umanistica che lo fa sembrare rispetto a tanti altri politici del recente passato – quasi un gigante.

La carriera di Fontana nasce nell’alveo della Lega bossiana, quella che prima di diventare ladrona aveva come bandiera identitaria l’autonomia regionale e il federalismo e che aveva come ideologo non proprio un dilettante: quel Gianfranco Miglio teorico dello Stato confederale e studioso raffinato del fenomeno mafioso nel sud Italia.

L’impegno principale del nuovo presidente della Camera per cui è salito all’onore della cronache di questi giorni non è il federalismo, che rimane un suo cavallo di battaglia, ma la difesa della famiglia tradizionale e dei valori tipici della destra cattolica. Proprio per il suo profilo ultra conservatore, l’elezione del Fontana non sembra essere piaciuta a molti sedicenti democratici che siedono ora nelle file dell’opposizione in Parlamento. Alcuni improbabili campioni della democrazia lo hanno accolto con uno striscione recante la scritta “omofobo e amico di Putin”.

L’amicizia personale con Putin non risulta. Fontana aveva solo alcuni anni fa indossato una maglietta con la scritta “basta sanzioni alla Russia”, una presa di posizione che può o meno piacere, ma che – visto il rischio di prossimo tracollo dell’economia nazionale e dell’Europa intera – forse qualche argomentazione razionale la portava con sé.

Il cuore della critica a Fontana però riguarda le posizioni religiose e in materia di diritti civili. Vanity Fair, il mensile assunto da molti progressisti come faro del pensiero liberal, apre la presentazione del personaggio con un “si dice reciti 50 Ave Maria al giorno”.

I tempi sono quelli che sono, ma non risulta che pregare sia vietato, né che indichi una qualche forma di congenita arretratezza di pensiero. Anche esprimere posizioni a favore della famiglia tradizionale non dovrebbe essere, in base all’art. 21 della Costituzione, oggetto di reato né motivo di vergogna: il fatto che Fontana sia stato votato probabilmente indica che parecchie persone la pensano allo stesso modo.

Uno dei grandi problemi dei progressisti è che hanno perso completamente il contatto con la realtà dei ceti popolari. La famosa scritta sul cartello innalzato dalla ex senatrice Monica Cirinnà durante la manifestazione dell’8 maggio recitava a suo modo una sorta di De profundis del pensiero progressista nostrano che segna l’ineluttabilità della sua crisi. “Dio patria famiglia: che vita de merda” è uno slogan che moltissimi cosiddetti liberal progressisti hanno fatto proprio per irridere le posizioni di chi aveva un’altra idea del mondo.

Ora si può discutere sulle opinioni di ciascuno, ma c’è naturalmente da chiedersi perché mai le posizioni a favore della legge Zan dovrebbero essere considerate buone e quelle a favore della famiglia tradizionale evocata da Fontana cattive. La famiglia è in fondo una convenzione che muta nel tempo e che viene definita in arene sociali di dibattito pubblico. L’essenza della democrazia sta proprio nel costruire discussioni pubbliche in cui le diverse posizioni si confrontano con reciproco rispetto per stabilire quale sia la più adatta a affrontare determinati problemi sociali.

Non è detto una posizione sia migliore dell’altra, spesso anzi più posizioni possono convivere senza che ciò generi chissà quale dramma etico o morale. Dialogare e cercare di capire l’altro non è però più da tanto una dote dei cosiddetti democratici.

Qualche giorno fa durante una manifestazione per il diritto all’aborto c’è stato a Roma in piazza un acceso confronto tra alcune giovani ragazze dei quartieri popolari e Laura Boldrini, la campionessa dei diritti civili.

Le ragazze chiedevano alla parlamentare del Pd, ex Sinistra ecologia e libertà, di allontanarsi, accusando i politici di volere solo occupare lo spazio pubblico per ottenere visibilità e segnalando lo stato di assenza di servizi e di difficoltà di accesso ai trattamenti farmacologici nelle periferie. In effetti, considerando che in Italia il centro sinistra ha governato per anni e non ha mai affrontato il problema del mancato diritto all’aborto causato dalla percentuale bulgara di obiettori negli ospedali pubblici, le giovani contestatrici forse avevano buone ragioni per sottolineare l’assenza della politica dai problemi della vita quotidiana.

C’è una strana idea di democrazia alla base del tonfo dei partiti progressisti in Italia, un’idea secondo cui la ragione sta sempre da una parte e il torto da un’altra, e che certe posizioni sono moralmente superiori alle altre, non si capisce bene il perché. Può essere che il presidente della Camera Fontana si riveli un incapace, può essere che venga messo sotto accusa per qualche reato, o che si comporti in modo tale da dovere essere richiamato al rispetto del suo ruolo dalle autorità competenti.

Ma certamente non è per le sue idee e i suoi valori che va messo al rogo. Anzi sarebbe il caso di chiedersi come mai quei principi e valori sono stati premiati e perché le Cirinnà, le Boldrini e gli Zan non sono al governo. Forse perché si sono dimenticati che i problemi della gente prima di essere giudicati vanno compresi e che le destre non è detto siano la malattia. Più probabile è che siano un sintomo: la malattia sta nel fatto che chi rivendica di essere il campione dei diritti è molto verosimile che non abbia la più pallida idea di quali siano i bisogni, le paure e i desideri della gran parte delle persone.

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