Quello di domenica 9 ottobre sarà il sedicesimo sciopero dei ferrovieri di Trenord da marzo dello scorso anno. Più di uno al mese. Ed è l’undicesimo causato da una vertenza locale sui turni di lavoro. Lo hanno dichiarato le rappresentanze sindacali unitarie (RSU) di Cgil Cisl Uil e dell’Orsa.

Cercando nella storia sindacale è difficile trovare una vertenza così lunga in un settore (servizi pubblici) dove gli scioperi colpiscono in primo luogo i pendolari e i cittadini, e molto meno gli scioperanti (basta infatti il 5% delle adesioni per fermare tutta la rete lombarda). E che in nessun modo colpisce Trenord, che continua ad essere giudicata benevolmente dalla regione Lombardia che ne è proprietaria e acquirente dei servizi con i soldi dei contribuenti.

Tutto ciò nonostante la peggior puntualità nazionale e i recenti scivoloni: dalla chiusura di un mese del passante milanese, che ha messo in crisi la mobilità pubblica dell’intera area metropolitana, al ritiro dal servizio dei nuovi e costosi treni “Colleoni” che dovevano sostituire i vecchi e inquinanti convogli degli anni 80 sulla linea Brescia-Parma.

A far cessare il conflitto sindacale non è neppure bastata la firma del rinnovo del contratto di categoria di qualche mese fa. Eppure il nuovo contratto prevede un aumento salariale medio di 110 euro e un’“una tantum” di 500 euro relativa all’anno 2021. A cui vanno aggiunti 200 euro l’anno sul welfare sanitario, l’incremento dell’1% al mese a carico dell’azienda della quota destinata alla previdenza integrativa e un premio di risultato per il 2021 di 850 euro.

E pensare che la nascita di Trenord fu definita un passo federalista che avrebbe migliorato i servizi e ridotto i costi di gestione (che invece sono doppi della media nazionale) grazie a relazioni industriali “innovative” – come aveva detto l’allora presidente della regione Roberto Formigoni. Il federalismo dei Trasporti è fallito, e il modello “consociativo” delle relazioni industriali ha portato ad una deresponsabilizzazione sia dell’azienda che dei sindacati.

In gioco non ci sono né licenziamenti né atteggiamenti antisindacali: è da quando è nata, nel 2002, che Trenord cerca di passare dalla gestione manuale dei turni del personale a un sistema informatizzato costato 6 milioni di euro, ma non ci riesce, ed è proprio per la pessima gestione dei turni che siamo all’undicesimo sciopero. Relazioni sindacali improntate al consociativismo e con forti contenuti corporativi hanno portato l’azienda a un collasso tecnico e gestionale permanente. Ma questo incredibile “filotto” di scioperi” e di disservizi va imputato prima di tutto alle continue proroghe della concessione e all’atteggiamento troppo indulgente della regione.

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