di Giovanni Papa

A vedere il tragico esito di una consultazione elettorale politica che ha marcato la più alta percentuale di non votanti dalla nascita delle Repubblica, nessun amante della democrazia può ritenersi soddisfatto. In Italia evidentemente il dramma di quasi 4 italiani su 10 che non si sono sentiti rappresentati da una qualsiasi delle liste presenti sulla scheda elettorale non riesce proprio a trovare il suo giusto spazio.

È ormai chiaro anche ai più distratti che questo macigno della diserzione alla partecipazione democratic,a mai manifestatosi come prima, va a consolidare una tendenza già segnata da anni esprimendo sempre i suoi massimi nelle zone maggiormente disagiate del paese, come il meridione e le periferie delle grandi città. Abbastanza rappresentativo in questo senso è quasi il 50% di astensione al voto raggiunto nella zona di Torbellamonaca, periferia romana.

Un grido di sofferenza inascoltato, che in un passato non lontano era riuscito in parte ad essere sopito da un sistema di ascolto capillare di un movimento fondato da chi aveva una visione e una cultura della partecipazione diffusa. Se la forza politica che esprimerà il futuro presidente del Consiglio oggi può contare su una rappresentatività di poco più del 16% dei votanti, certamente non se la passano meglio nei banchi dell’opposizione, dove il M5S è stato votato da mezzo italiano su 10, disperdendo in 5 anni un patrimonio di circa 6,5 milioni di voti.

Un dato che guardando i sondaggi di fine agosto poteva essere anche peggiore, laddove il professor Conte non ci metteva pesantemente del suo con uno scatto in avanti dell’ultimo mese veramente prodigioso. Un recupero certamente caratterizzato da una leadership forte e carismatica, ma che al contempo delinea un M5S organicamente diverso da come se lo era immaginato il suo fondatore. Nulla di visionario quindi, così come disegnato nel futuristico progetto iniziale di Roberto Casaleggio. Nulla del Movimento capace da solo di prendere più di 11 milioni di voti in Italia o a fare il pieno a Roma candidando nel 2016 una “semi-sconosciuta” Raggi.

Oggi il 15, domani il 20, per poi tornare al 15 e così via…. è questo il futuro che si sta disegnando il nuovo Movimento? Il M5S è destinato a gestire “l’ordinario” senza un effettivo cambio di strategia sui territori, cercando la complicità di quella “partecipazione attiva” che partendo da metodi decisionali ampiamente condivisi – e perché no, da piattaforme tipo Rousseau che anziché essere perfezionate sono state troppo presto abbandonate – getta le armi anche di fronte ad un astensionismo ormai mordente.

Una volta dentro e una fuori alle frange di governi deboli, comprimario nei numeri, consueto nelle pretese. Esteriormente omologati ad un sistema che riesce a tenere a distanza persone “scomode” (ma per chi?) come Alessandro Di Battista, nonostante fosse stato il più votato agli Stati Generali, neutralizzati per 10 anni nel far valere massicce determinazioni popolari come quella espressa nel 2011 dal 95% degli italiani sull’Acqua Pubblica, depotenziati nel contrasto alla legge Cartabia… solo per citare alcuni punti, l’augurio è che il M5S ritrovi quello spirito di servizio, una volta rivolto a una sinergica quanto coinvolgente comunità di Meet Up, fatta di gente comune che, anziché essere intelligentemente integrati in una organizzazione interna più ampia e “accogliente”, sono stati rimossi forse con troppa leggerezza.

Non è una decisione difficile da prendere per un Movimento che è stato fondato su pensieri come: “…un’idea non è di destra né di sinistra. È un’idea. buona o cattiva”. Avere la consapevolezza di poter recuperare anche uno solo dei milioni di italiani che non hanno votato e capire il profondo dovere civico di reintegralo in un sano dibattito democratico: questo sì che sarebbe un passo da Movimento. Trovare la giusta alchimia tra la vecchia e la nuova anima del M5S potrebbe essere un nuovo modo per ripartire. Basta volerlo.

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