L’effetto rischia di essere straniante. Perché questo pomeriggio due dimensioni generalmente parallele si troveranno a intersecarsi sul prato verde di San Siro. Quello che è guarderà negli occhi quello che avrebbe potuto essere. Nella speranza di non dover scorgere i contorni sfocati di un rimpianto. È un cronosisma che racconta piuttosto bene il momento particolare di Paulo Dybala, il genio fragile che questa estate si è ritrovato a recitare molti ruoli diversi: prima reietto bianconero, dopo nuovo profeta dell’Inter, poi apostata del credo nerazzurro, infine nuovo re di Roma. La sua un’estate è trascorsa nell’inquietudine, in fiduciosa attesa di una telefonata che potesse davvero allungargli la vita, ostaggio di quella frase di Corrado Alvaro spiega che “la vita non è altro che un rasentarsi di solitudini”. Il parametro zero più goloso del mercato non aveva fatto venire l’acquolina in bocca a nessuno dei grandi club europei. Una situazione surreale che era stata spiegata dispensando certezze. Le condizioni fisiche di Dybala sono diventate cronicamente precarie, si diceva. La decisione della Juventus di non rinnovargli il contratto certifica il suo status di campione mancato, si garantiva.

Oggi dopo il primo blocchetto di partite di campionato, i nuvoloni neri non vorticano più sulla testa di Dybala. Le sette gare di Serie A hanno dimostrato che questa Roma è la squadra perfetta per l’argentino. Ma anche che l’argentino è il giocatore perfetto per questa Roma. Perché l’attaccante ha trovato nella capitale tutto quello che gli sarebbe stato precluso a Milano. José Mourinho gli ha affidato un ruolo più che centrale nella sua squadra. Dybala è titolare inamovibile, gioiello che dà lustro a tutto il collettivo. A Milano, invece, l’argentino avrebbe dovuto fare capolino fra Lukaku e Lautaro, due punte legate da un affiatamento, in campo e fuori, che travalica l’intesa per sfociare nella bromance. Creare un triumvirato avrebbe voluto dire imporre un turnover, spezzettare il minutaggio dei suoi protagonisti, elevare sistema l’antico concetto che tutti sono utili ma nessuno poi veramente indispensabile.

Con la maglia della Roma, invece, Dybala sta imponendo la sua essenzialità. Con giocate da applausi. Con numeri interessanti. Fin qui l’argentino ha segnato 3 gol e servito 2 assist (e colpito anche due legni). Significa che il 62% degli 8 gol segnati in campionato dalla Roma è arrivato grazie a una sua invenzione. Vederlo giocare significa stipulare un patto, accettare un’attesa che sarà poi ricompensata da un colpo a effetto, da un numero che può iniziare o concludere un’azione. Libero di svariare per il campo, Paulo ha mostrato tutto il catalogo della sua classe: arretra per prendersi il pallone, sguscia fra due avversari con un tocco morbido come la seta, aiuta a srotolare il contropiede giallorosso, tira da fuori. Le sue giocate, anche quelle che non riescono, non sono mai vaporose, ma sono la dimostrazione che anche l’estetica può essere fondamentale nel raggiungimento del fine.

Perché la vera cifra di Dybala in questo avvio di stagione è proprio la concretezza. Da solo l’argentino ha segnato più di Abraham, Pellegrini, Zaniolo e Belotti messi insieme. Ma il problema dei numeri è che raccontano una verità parziale. Perché il contributo dell’argentino alla causa giallorossa va ben oltre i gol. Con i suoi tocchi Dybala ha creato in media 3.2 occasioni a partita. Nessun altro giocatore della squadra di Mourinho è riuscito a liberare così spesso al tiro in compagni. E quando è stato chiamato in campo da subentrante, contro un derelitto HJK Helsinki ridotto il dieci già nel primo tempo, il suo ingresso è stato una scarica di adrenalina per una squadra che ha nella compostezza il suo limite più grande. L’argentino è leader e gregario al tempo stesso. Segna e fa segnare, rifinisce e arretra per dare una mano al centrocampo. Eppure è chiamato ad alzare ancora l’asticella, a essere più incisivo, a trascinare. Questo avvio di campionato ha mostrato chiaramente che quando la Roma riesce a tenere stretti Abraham, Dybala, Pellegrini e Zaniolo, quando riesce a mettere in interconnessione la loro classe, a sfruttare le loro triangolazioni affilate e fulminee, può disporre di un grimaldello capace di far saltare qualsiasi serratura difensiva. Mourinho dovrà lavorare su questi lampi, per trasformali da episodici in permanenti. E questa sarà la parte più difficile dell’intera faccenda. Intanto ad aiutarlo ci sarà il talento di Paulo Dybala, uno che in un paio di mesi si è reso il lusso di smentire quell’aforisma di Flaiano che diceva che “Vivere a Roma è un modo per perdere la vita”. Perché nella Capitale Dybala ha iniziato la sua rinascita.

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