Il Dipartimento di Stato americano ha annunciato con un comunicato ufficiale la fine dell’embargo sulle armi imposto nel 1974 nei confronti del governo greco-cipriota. Secondo gli Usa, Nicosia avrebbe soddisfatto le condizioni necessarie per poter ricevere materiale bellico prodotto negli Stati Uniti a partire dall’anno fiscale 2023, dopo l’approvazione ad ottobre di un emendamento al Regolamento sul traffico internazionale di armi.

L’anno prossimo, dunque, il governo di Nicosia potrà acquistare materiale militare anche dagli Stati Uniti, superando così le restrizioni imposte da Washington nel 1987 per favorire la riconciliazione per via diplomatica delle due parti dell’isola, divisa dal 1974 tra greco-ciprioti e turco-ciprioti. Ad oggi però gli sforzi per raggiungere un compromesso tra Grecia e Turchia, sponsor rispettivamente dei due governi dell’isola, non hanno dato i risultati sperati anche a causa dell’inasprirsi della contesa per il Mediterraneo orientale tra Ankara e Atene.

Negli ultimi anni i rapporti tra Grecia e Turchia si sono fatti sempre più tesi a causa delle pretese turche su alcune isole appartenenti ufficialmente ad Atene, ma la disputa interessa anche lo sfruttamento delle risorse presenti al largo di Cipro e a cui Ankara non vuole rinunciare. Una questione tornata ancor più di attualità nel momento in cui l’Ue è alla ricerca di fonti di approvvigionamento energetico alternative a quelle della Russia, isolata sul piano diplomatico dall’inizio della guerra in Ucraina. Dalle acque antistanti Cipro sarebbe dovuto infatti passare l’EastMed, il gasdotto pensato per collegare Israele alla Grecia passando per l’isola e che avrebbe relegato la Turchia ad un ruolo marginale nella partita energetica del Mediterraneo. Uno scenario ben poco gradito al presidente Recep Tayyip Erdogan, che vuole invece fare del suo paese un hub regionale del gas per aumentare il peso geopolitico.

La notizia della fine dell’embargo su Cipro dunque non fa che aumentare la tensione tra l’isola e la Turchia, quest’ultima preoccupata per le conseguenze che la scelta americana potrebbe avere sulla definizione degli equilibri nella regione. Secondo il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, la mossa degli Usa avrà degli effetti negativi sui negoziati per il futuro dell’isola e porterà a una corsa agli armamenti da parte del governo di Nicosia, minando così la pace e la stabilità nel Mediterraneo. Di diverso tenore invece il commento del presidente greco-cipriota, Nicos Anastasiades, che vede la fine dell’embargo come un segno del rafforzamento delle relazioni tra Nicosia e Washington anche nell’ambito della sicurezza.

Un rafforzamento che arriva a pochi mesi dal 2023, anno politicamente decisivo per il Mediterraneo orientale. L’anno prossimo si vota in Grecia, Cipro e Turchia, e tutti e tre i leader attualmente al potere stanno cercando di sfruttare a loro vantaggio la situazione nel mare nostrum per salire nei sondaggi, facendo leva sul sentimento nazionalistico dei propri cittadini. Con risultati diversi. Erdogan ha puntato molto negli anni sulla crescita della potenza turca nello scacchiere internazionale, investendo in politica estera per elevare il suo paese al ruolo di potenza quantomeno regionale e sta sfruttando la guerra in Ucraina per espandere l’influenza turca all’estero. Allo stesso tempo, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis sta puntando sul sentimento antiturco di una parte della popolazione, ponendosi quale difensore degli interessi greci e greco-ciprioti nel Mediterraneo ed identificando la Turchia come il nemico da tenere a bada nel mare nostrum. Da qui la soddisfazione espressa anche dal ministro degli Esteri Nikos Dendias relativamente alla revoca dell’embargo sulle armi a Cipro, ritenuto fondamentale per un miglioramento delle relazioni tra Nicosia e Usa.

Ma la fine delle restrizioni sull’export bellico dice molto anche dello stato dei rapporti tra Washington e Ankara. Dall’inizio della presidenza Biden ad oggi si è assistito al riconoscimento da parte Usa del genocidio armeno, all’esclusione della Turchia dal programma F-35, a cui si accompagnano i tentennamenti del Congresso sulla vendita di nuovi F-16, all’incremento degli investimenti americani nelle basi militari greche e in ultimo al viaggio della Speaker della Camera, Nancy Pelosi, in Armenia. Tutti elementi che dimostrano come nel Mediterraneo gli Usa propendano più verso il governo greco e cipriota che non verso quello turco, che pure non posso inimicarsi. La Turchia resta un alleato fondamentale del blocco occidentale in altri scenari, non ultimo quello ucraino, e sia Ankara che Atene fanno parte dell’Alleanza atlantica. Uno scontro aperto o un innalzamento eccessivo della tensione tra i due paesi non è concepibile per i vertici della Nato né tantomeno per gli Stati Uniti, soprattutto nel momento in cui l’unità del fronte atlantico è fondamentale per contrastare la Russia.

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