L’alluvione nelle Marche, con centinaia di persone sfollate, e almeno dieci vittime, senza contare i dispersi (tra cui un bambino di 8 anni) è l’ennesimo conto che l’Italia è costretta a pagare per i ritardi e l’inerzia sul fronte dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Lo dicono i sindaci, che denunciano di non aver ricevuto nessuna allerta media per una alluvione di questa portata mentre, spiega il presidente della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, “è piovuto in qualche ora un terzo di quello che normalmente piove in queste zone in un anno”. Questo è l’evento estremo. Il resto lo fanno torrenti, terreni e, in generale, territori non preparati a questo genere di rischi. È così che in poco più di dieci anni (dal 2010 al 1 novembre 2021) sono morte 261 persone, vittime dei 1.118 eventi estremi registrati dall’Osservatorio CittàClima di Legambiente, 133 solo nel 2021, con un aumento del 17,2% rispetto all’anno prima. In quel report, tra l’altro, l’associazione citava anche i 42 eventi estremi che il Nord delle Marche ha dovuto affrontare nel giro di poco più di dieci anni. Eppure l’Italia continua a rimanere l’unico grande Paese europeo senza un piano di adattamento al clima: elaborato dal ministero dell’Ambiente (oggi della Transizione ecologica) dopo una consultazione pubblica nel 2017, il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) è rimasto a lungo in un cassetto, accumulando una serie di ritardi. Ora va rivisto, solo che nel frattempo non si fermano né il cambiamento climatico, né gli eventi estremi. Un mese fa, il maltempo ha provocato in Toscana due morti e decine di feriti. Da gennaio a luglio 2022, come raccontano i dati più aggiornati della mappa del rischio climatico realizzata da Legambiente, in Italia si sono registrati 132 eventi climatici estremi, il numero più alto della media annua degli ultimi dieci anni. E la politica si gira dall’altra parte.

L’adattamento assente da dichiarazioni e programmi – Il cambiamento climatico è assente dai discorsi dei politici, come denunciato proprio nei giorni scorsi da Greenpeace, che ha diffuso i risultati di un monitoraggio realizzato dall’Osservatorio di Pavia: nell’estate delle ondate di calore, del Po in secca e della tragedia della Marmolada, le dichiarazioni rilasciate dai leader politici ai telegiornali riguardo alla crisi climatica sono appena il 3,8% di quelle sull’ambiente e meno dello 0,5% sul totale delle dichiarazioni. Non solo. “Le politiche di adattamento sono un tema largamente ignorato nei programmi” racconta il think tank Ecco in una recente analisi delle proposte politiche legate al clima presentate nel corso della campagna elettorale in vista del voto del 25 settembre. Pd, Verdi-Si e Fratelli d’Italia sono gli unici a parlare dell’aggiornamento del piano. “Il tema dell’adattamento non compare nel programma del M5S – spiega il think tank – mentre per il terzo polo e la Lega viene sostituito da una politica per la gestione forestale”. Tra le politiche legate alla gestione dell’acqua, poi, parlano di dissesto idrogeologico solo Pd, Verdi-Si e Azione-Italia Viva.

Il Piano di adattamento mai approvato – Tutto questo nel Paese in cui, secondo il rapporto ‘Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio” di Ispra, quasi il 94% dei Comuni è a rischio dissesto, un milione e 300mila residenti abitano in zone a rischio frana e quasi 7 milioni vivono in zone soggette alle alluvioni. Ci si chiede, ora, se i partiti che vinceranno le elezioni si assumeranno la responsabilità di approvare il piano la cui elaborazione è iniziata nel maggio del 2016 (premier Matteo Renzi), basata sulla Strategia nazionale adattamento al clima (Snac) del 2015. Nel frattempo, sono passati altri quattro governi, guidati da Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte per due mandati e Mario Draghi. La prima stesura nel 2017. Il documento è stato sottoposto a una consultazione pubblica, ma con la caduta del governo Gentiloni, tutto ciò che non era ordinaria amministrazione è stato rinviato a marzo 2018. L’ultima versione è ancora consultabile sul sito del ministero della Transizione ecologica ma, dopo cinque anni, non solo non è stato approvato, ma andrebbe ulteriormente rivisto. Il documento identifica sei ‘macro-regioni climatiche’, con condizioni climatiche molto simili e, all’interno di queste, delle ‘aree climatiche omogenee’, dove è comune il rischio di eventi estremi in futuro. Dunque fornisce un’analisi del rischio, in base ai potenziali impatti e alla capacità di adattamento a livello provinciale. Propone, poi, una serie di azioni (divise per 18 settori, tra cui quelli delle risorse idriche e dei dissesti), elencando infrastrutture da realizzare, tempi e impegni finanziari. Tra gli elementi critici, non solo le risorse economiche, ma anche la mancanza di una base giuridica e di un coordinamento tra settori e, soprattutto, tra i livelli amministrativi, dallo Stato ai singoli Comuni, passando per le Regioni. Solo a gennaio 2021, dato che resta un documento di indirizzo senza alcun vincolo (ma che comunque in questi anni avrebbe potuto contribuire ad evitare diversi disastri, ndr), è partita la Valutazione ambientale strategica (Vas) finalizzata a migliorarne la portata decisionale. Dunque va rivisto.

Quanto costano dissesto ed eventi estremi – Proprio in questi giorni Legambiente ricorda i dati aggiornati della mappa del rischio climatico, nell’ambito dell’Osservatorio Cittàclima. Dal 2010 a luglio 2022 si sono verificati 1318 eventi estremi. Gli impatti più rilevanti in 710 comuni italiani. Secondo i dati della Protezione Civile, ogni anno spendiamo 1,55 miliardi per la gestione delle emergenze, in un rapporto di 1 a 5 tra spese per la prevenzione e quelle per riparare i danni. Dal 1999 al 2019 sono stati 6.303 gli interventi avviati per mitigare il rischio idrogeologico in Italia, per un totale di poco meno di 6,6 miliardi di euro (fonte Ispra, piattaforma Rendis), con una media di 330 milioni di euro l’anno. Altri dati sono quelli di Italia sicura, struttura della presidenza del Consiglio ai tempi di Matteo Renzi (che, proprio in queste ore, ne chiede il ripristino) poi chiusa nel 2018, non senza polemiche. Secondo quei dati, dal 1945 l’Italia paga in media circa 3,5 miliardi all’anno per risarcimenti e riparazione di danni. Una stima vicina a quella di Greenpeace, secondo cui dal 2013 al 2019 il danno economico per l’Italia provocato da alluvioni e frane, eventi estremi intensificati dal riscaldamento globale, è stato pari a 20,3 miliardi di euro, per una media di circa 3 miliardi ogni anno.

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