Franco Bernabé, il più soave dell’establishment (crescere a Torino, con tanto di passaggio professionale in Fiat vorrà pur dire qualcosa), per essere un perfetto Ponzio Pilato dovrebbe mettersi d’accordo con sé stesso: se dice che il governo Draghi ha messo le cose a posto, come mai prosegue la riflessione informandoci che ora l’algido banchiere, il Migliore dei Migliori, è preoccupato dei casini che lascia in eredità a chi verrà dopo di lui? Sicché si premura di fornire consulenze gratuite alla tenera fanciulla che gronda umanità da tutti gli artigli predestinata a succedergli.

Casini incombenti e successione inderogabile sono le due prime facili previsioni su quanto dobbiamo attenderci nel prossimo futuro. Una scopa per pulire la montagna di luoghi comuni fasulli che finora hanno incrostato il dibattito pubblico, sino a renderlo pura alienazione, smossi dai refoli del venticello verità destinato a soffiare. Repulisti che – ad esempio – i tedeschi hanno già avviato, revisionando la mitologia fiorita attorno al cancellierato di Angela Merkel, la “Premio Carlo Magno” 2008 per la sua opera di riforma dell’Unione europea (ricevuto dalle mani immacolate di Nicolas Sarkozy), i cui tre lustri al top ora appaiono in una luce un po’ meno splendente; non solo per la politica bottegaia a Bruxelles quanto per la più che miope strategia economica interna, di totale subalternità al Cremlino di Putin in materia energetica.

Il presunto “usato sicuro” teutonico, che praticava il tirare a campare; come già da tempo avevano capito perfettamente gli studenti berlinesi inventando il neologismo “merkeln”, inteso come “non fare nulla, non prendere decisioni”. Un modello e un faro costante per Draghi che sul “merkelnismo” ha fondato la sua premiership e la fantomatica “agenda”, tanto rimpianto dal presunto “terzino” Carlo Calenda (dichiaratosi Terza forza essendo Quarta) che – altra previsione – si sveglierà dalla sbornia scoprendo di essere stato menato per il naso dai suoi temporanei compagni di strada; i furbacchioni Matteo Renzi ed Emma Bonino. E speriamo per lui che Confindustria voglia riprenderselo (ma sembra improbabile).

Molto più probabile che Giorgia Meloni – quarta previsione – gettando alle ortiche il corso accelerato di bon ton per frequentare i meeting di Cernobbio e colloquiare con qualche giornalista di Palazzo non possa fare altro che lasciare campo aperto ai bravacci e alle bravacce della sua compagine. Non per instaurare un nuovo Ventennio (non saprebbero neppure da dove cominciare per una qualsivoglia politica, generativa o meno), bensì per consumare un po’ di vendette su chi li aveva messi da troppo tempo in un angolo e compiere svariati atti simbolici contro la Costituzione nata dalla Resistenza e contro i diritti delle donne (per cui – sub-previsione – dobbiamo attenderci lo spettacolo apparentemente imprevisto di una Meloni “quisling”, premier fantoccio al servizio della restaurazione dell’ordine gerarchico-patriarcale).

Vengo così alla quinta previsione; con un certo margine di rischio a formularla, eppure un qualcosa di cui si può ipotizzare il brontolio sottotraccia. Ecco qua: fino ad ora sta andando troppo bene per Giuseppe Conte nella gestione elettorale del passaggio dal Movimento 5 Stelle che fu a un partito che raccolga le bandiere dell’ambiente e della lotta alla disuguaglianza in espansione, lasciate nella polvere dalla “Sinistra patella” (come la chiama su il Manifesto l’amico Paolo Favilli: “attaccata all’universo neoliberale come patelle allo scoglio”). A questo punto siete pronti a escludere che l’elevato di Sant’Ilario possa assistere in silenzio al successo dell’odiato Conte e non raccolga l’invito a sgarrettarlo con una delle sue dichiarazioni demenziali a qualche giorno dall’apertura delle urne?

E cosa ci aspetta nel dopo 25 settembre in materia di informazione? Sesta previsione: la famiglia Agnelli-Elkan metterà all’incanto il conglomerato giornalistico Gedi; ormai inutile come scudo e arma di ricatto una volta portata a compimento la liquidazione dell’antico patrimonio industriale di famiglia. Spiace (?) per Maurizio Molinari, che dopo aver servito fedelmente la Real Casa nella liquidazione della libera informazione sarà costretto a trovare un lavoro come spalla in qualche talk show con Luca Telese e Concita De Gregorio. Sorte analoga per Massimiliano Allegri, dopo la svendita della Juventus che non serve più per la politica del circenses più del panem, costretto ad andare ad allenare nel Burkina Faso o nelle isole curili.

Più facile la settima previsione post 25 settembre: nel Pd si terrà una colletta per comprare un biglietto del treno di seconda classe e rispedire a Parigi Enrico Letta.

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