L’ultima manovra nella guerra economica tra occidente e Russia è l’imposizione di un tetto sul prezzo di vendita del gas e del petrolio russo. In teoria il meccanismo è semplice e funzionerebbe attraverso la creazione di un cartello di compratori. Tale cartello imporrebbe il prezzo di acquisto al venditore. A prescindere dalla legittimità o meno di un tale cartello in un’Europa Unita dove vigono regole ben precise per impedire la creazione di cartelli nel libero mercato, è chiaro che il potere del cartello dipenderà non dal numero di nazioni che ne fanno parte ma da quello dei Paesi che non aderiscono. Più quest’ultimo è alto meno potere avrà il cartello. In ultima analisi, dunque, i limiti di questa nuova manovra sono gli stessi dell’embargo.

Ci si domanda perché allora si è formulata quest’ultima proposta e la risposta è chiara: per invogliare le nazioni che ancora acquistano gas russo a domandare sconti sul prezzo. L’obbiettivo vero è questo e la logica è la seguente: dal momento che è stato introdotto un limite al prezzo di vendita, le nazioni clienti della Russia domanderanno sconti sui prezzi. Così facendo si ridurrebbero i proventi energetici con i quali Putin finanzia la guerra in Ucraina. Ridurre, si badi bene, non azzerare perché si vuole evitare che la Russia sia costretta a tagliare la produzione di gas e petrolio e così facendo causare una nuova impennata dei prezzi mondiali. Lo scopo ultimo è costringere Putin a vendere gas e petrolio per pochi dollari in più del prezzo di produzione

Nessuno di questi obbiettivi è facile da raggiungere. L’embargo sul petrolio russo non ha ridotto i proventi energetici nonostante abbia ridotto il volume delle esportazioni perché il prezzo è salito e nuovi acquirenti sono comparsi. Tra questi l’India che prima dell’invasione dell’Ucraina non acquistava da Mosca. A luglio di quest’anno importava circa 1 milioni di barili di petrolio al giorno, equivalente all’1 per cento dell’offerta mondiale. Ed il prezzo che pagava e paga è già scontato. Tanto è l’appetito dei nuovi e vecchi clienti che mentre inizialmente lo sconto applicato a Cina e India oscillava tra i 30 ed i 40 dollari al barile, a luglio questo era sceso tra i 18 ed i 25 dollari al barile. Di fronte a questo scenario, perché mai il tetto dovrebbe funzionare? Specialmente tenendo presente che Putin ha già detto che chiunque lo utilizzerà non potrà mai più acquistare i suoi prodotti.

I paesi membri del G7 hanno escogitato un’altra manovra per irretire la nuova e vecchia clientela che non ha aderito alle sanzioni: introdurre nell’equazione del tetto sui prezzi del petrolio il sistema assicurativo occidentale. Prima dell’invasione dell’Ucraina, l’International Group of Protection and Indemnity Clubs di Londra, essenzialmente il mercato delle riassicurazioni, copriva circa il 98 per cento delle spedizioni di petrolio al mondo. La proposta dei paesi del G7 è di fornire l’assicurazione soltanto i carichi di petrolio acquistati al di sotto o al prezzo del tetto imposto dal cartello. Naturalmente anche in questo caso si sono fatti i conti senza l’oste. In primo luogo, dall’inizio del conflitto in Ucraina molte nazioni hanno accettato assicurazioni non occidentali, la Cina, ad esempio, importa con assicurazioni russe. La Russian National Reinsurance Company (RNCR) controllata dal governo russo è ormai la compagnia di riassicurazioni usata per tutte le esportazioni russe. In secondo luogo, l’industria delle assicurazioni non ha nessuna voglia di svolgere un compito del genere che presenta rischi, e dunque girerà il compito ai traders.

Il modello usato con la manovra del tetto sui prezzi è simile a quello imposto all’Iraq nel 1995 con l’Oil for food programme delle Nazioni Unite. Il programma introdotto dall’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton aveva lo scopo di soddisfare i bisogni umanitari iracheni, impedendo al governo di Saddam Hussein di aumentare le capacità militari. Gli acquirenti di petrolio pagavano su un conto garanzia gestito dalla banca BNP Paribas. Il denaro veniva utilizzato per pagare le riparazioni di guerra al Kuwait e le operazioni delle Nazioni Unite in Iraq, con i fondi rimanenti si acquistavano prodotti necessari per la sopravvivenza della popolazione. Allora però il fronte anti-Saddam era compatto, oggi lo scenario è ben diverso.

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