L’annuncio della chiusura “a tempo indeterminato” del gasdotto Gazprom è la risposta di Mosca alla decisione presa venerdì dai ministri delle Finanze dei Paesi del G7. Le sette economie più avanzate del mondo intendono introdurre un tetto al prezzo del petrolio con l’obiettivo di ridurre i maxi introiti che la Russia sta ricavando dalla vendita di idrocarburi e con cui finanzia la guerra. Resta però da vedere quanto efficace sarà il price cap, che per ora è un guscio vuoto: tutto dipende da quanti Stati aderiranno e dal livello a cui sarà fissato il limite, ancora da decidere. I precedenti non promettono bene: a fine maggio i leader europei avevano concordato un embargo al petrolio russo in arrivo via mare da rendere operativo entro dicembre attraverso un bando sulle assicurazioni alle navi che lo trasportano. Ma a fine luglio il Financial Times ha dato notizia di una marcia indietro: Bruxelles, intimorita dall’aumento dei costi e dai rischi per la sicurezza energetica e alimentare, ha ammorbidito la norma.

Dall’export di greggio 100 miliardi di ricavi – I combustibili fossili hanno fruttato alla Russia circa 1 miliardo di euro al giorno dall’inizio della guerra in Ucraina. Quasi metà di quei soldi arrivano ancora oggi da Paesi Ue, Germania e Italia in testa, stando ai dati del Centre for research on energy and clean air (Crea). La riduzione dei volumi di importazione è stata finora controbilanciata dal forte aumento dei prezzi. L’export di greggio vale più di quello del gas: sui 164 miliardi di ricavi realizzati da Mosca a partire dal 24 febbraio, mostra il Russia fossil tracker del Crea, più di 100 derivano dal petrolio.

Come funziona il tetto – La misura da tempo sponsorizzata dagli Stati Uniti colpisce l’export di greggio, che per Mosca vale più di quello del gas. Su 164 miliardi di ricavi realizzati dalla Russia a partire dal 24 febbraio, mostra il Russia fossil tracker del centro di ricerca Crea, più di 100 derivano dal petrolio. I dettagli però sono tutti da decidere. Per ora si sa solo che il canale di trasmissione per imporre il tetto sarà anche in questo caso costituito dai “servizi che consentono trasporto marittimo del greggio e dei prodotti petroliferi”, cioè le assicurazioni dei carichi che viaggiano su quelle navi cargo. “La fornitura di tali servizi sarebbe consentita solo se il petrolio e i prodotti petroliferi fossero acquistati a un prezzo uguale o inferiore a un valore (“price cap”) determinato dall’ampia coalizione di Paesi che vi aderisce e attua tale misura”, spiega il comunicato del G7. Attualmente le quotazioni del petrolio russo Ural sono poco sopra i 70 dollari al barile contro gli oltre 90 del Brent del Mare del Nord.

I maxi acquisti di Cina e India – “E’ una misura molto complicata ad attuare”, ha spiegato il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli. “Lo vogliono soprattutto gli Stati Uniti ma l’Arabia Saudita, come leader dell’Opec, non lo vorrà mai. E’ molto complicato arrivarci a livello globale”. Bisognerà poi fare i conti con Cina e India, che dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina stanno comprando a man bassa petrolio russo a prezzi scontati. In maggio, giugno e luglio Mosca è stato il primo fornitore di greggio di Pechino: oltre 1 milione di barili di petrolio Ural al giorno. Anche Nuova Delhi, che prima della guerra importava quasi tutto il suo fabbisogno dal Medio Oriente, ha approfittato sempre di più dell’opportunità e ora compra a sconto circa 1 milione di barili al giorno. Secondo Bloomberg, in agosto ben sei navi cariche di greggio russo hanno preso la via della nazione asiatica: il numero più alto da quando il Paese ha iniziato ad approvvigionarsi attraverso quella rotta. I prodotti raffinati vengono poi tranquillamente rivenduti anche ai Paesi europei con lauti guadagni. Lo stesso vale per la Turchia, attualmente terzo compratore dopo Cina e Germania, che in agosto ha raddoppiato gli acquisti rispetto a quelli dello stesso mese del 2021. Infine: i membri dell’Ue riusciranno a raggiungere il consenso unanime necessario perché il blocco aderisca al piano?

La frenata della Ue – Quello che è accaduto in estate sul sospirato embargo al petrolio russo da parte della Ue non fa ben sperare. Lo stop entro fine anno era stato deciso a maggio dopo un lungo tira e molla con Ungheria e Slovacchia che hanno ottenuto esenzioni visto che importano via oleodotto. Il 21 luglio il Consiglio europeo ha diffuso un comunicato in cui spiegava che per “scongiurare le potenziali conseguenze negative per la sicurezza alimentare ed energetica in tutto il mondo, l’Ue ha deciso di estendere alle operazioni sui prodotti agricoli e al trasporto di petrolio verso paesi terzi l’esenzione dal divieto di effettuare operazioni con determinate entità statali”. Come ha tradotto il Ft, i governi hanno “rinviato il piano per escludere Mosca dall’importante mercato di assicurazione marittima dei Lloyd’s di Londra e permettere alcune spedizioni alla luce dei timori sui costi del greggio in aumento e minori disponibilità”. In particolare è stato consentito alle compagnie europee di assicurare l’export verso Paesi terzi da parte di entità statali russe come Rosneft o Gazprom Neft nel caso sia “strettamente vitale”. Una “notevole ritirata”, stando al commento dell’avvocato Leigh Hansson dello studio legale Reed Smith, sentito dal quotidiano finanziario.

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