Alla vigilia della riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue, dove si discuterà la questione del rilascio dei visti ai russi, c’è una parte della popolazione della Federazione che attende la decisione con particolare attenzione. Sono coloro che, soprattutto dopo l’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin il 24 febbraio scorso, si sono opposti alle politiche del Cremlino. La violazione dei diritti umani fondamentali e le crescenti restrizioni ai cittadini, ai media e alle istituzioni pubbliche sono diventate la norma in Russia, ma dall’inizio del conflitto il Cremlino ha ulteriormente ampliato i propri poteri e ora prende decisioni che sarebbero giustificate dalla legge marziale, nonostante non sia mai stata ufficialmente dichiarata. Per questo, oltre agli attivisti e ai giornalisti perseguitati, si registrano anche decine di casi di cittadini comuni che hanno dovuto affrontare procedimenti penali, incarcerazioni o il pagamento di multe solo per aver espresso la propria contrarietà al conflitto o, addirittura, aver semplicemente deciso di indossare abiti che richiamassero il colore della bandiera ucraina. Tutto questo è di fondamentale importanza quando si parla della cessazione del regime dei visti tra Russia e Unione europea. Finché non si avrà un meccanismo per ottenere i lasciapassare umanitari in Europa ben consolidato, anche un visto turistico può aiutare coloro la cui vita o la cui libertà sono in pericolo.

Repulisti fra i politici Le repressioni contro i politici dell’opposizione in Russia non sono una novità. Uno degli ultimi esempi è la distruzione della Fondazione Anticorruzione (FBK) e le sedi politiche di Alexei Navalny, uno degli oppositori più combattivi di Vladimir Putin. Nel 2021 le ong di Navalny sono state riconosciute come organizzazioni “estremiste” e lui stesso è stato dichiarato un ”terrorista” e incarcerato. Adesso tutti coloro che sono stati in qualche modo legati alla sua fondazione sono soggetti a persecuzione.

Con lo scoppio della guerra, nella legislazione amministrativa e penale della Federazione Russa sono state introdotte leggi che vietano di “screditare” le forze armate della Federazione Russa e di “distribuire consapevolmente false informazioni” sulle loro azioni (la cosiddetta “legge sulle fake news”). Come si è scoperto, queste regole sono interpretabili in senso infinitamente ampio, quindi in effetti ora i russi rischiano fino a 15 anni di carcere per le dichiarazioni pubbliche.

In base alla nuova legge “sulle fake news” è stato immediatamente arrestato il politico dell’opposizione Vladimir Kara-Murza. Pochi mesi dopo, senza liberare il politico dalla custodia, la polizia ha aperto un secondo procedimento penale, questa volta in base alla legge sulle attività di un’organizzazione “indesiderabile”, contro la Free Russia Foundation di cui Vladimir Kara-Murza era vicepresidente. Dichiarare arbitrariamente qualsiasi organizzazione indesiderabile è un altro strumento che esiste dal 2015 per combattere il dissenso. È stata dichiarata tale l’organizzazione pubblica liberale “Russia Aperta”, il cui capo, il politico dell’opposizione e imprenditore Andrei Pivovarov è in custodia da quasi un anno.

Con l’inizio della guerra, i pochi politici di opposizione o hanno cercato di lasciare la Russia o si sono preparati ad essere arrestati e quindi, come insegnava Navalny, si sono presi cura della loro salute. “Non appena i primi razzi sono volati verso l’Ucraina, sono andato dal dentista e mi sono messo in ordine i denti”, ha detto il politico liberale Ilya Yashin un mese prima che anche lui venisse arrestato.

Il primo a ricevere una vera sentenza di condanna per aver diffuso “fake news” è stato Alexei Gorinov, un deputato municipale di Mosca di 60 anni. Durante una riunione del consiglio dei deputati, ha definito una “guerra” ciò che stava accadendo in Ucraina invocando il ritiro delle truppe russe e ricevendo per questo una condanna a 7 anni di carcere. In quella riunione Gorinov fu supportato da un’altra deputata, diventata anche lei imputata in un procedimento penale, ma che è riuscita a lasciare la Russia. Un altro politico di Mosca, invece, è stato arrestato per 10 giorni per aver ritwittato una battuta e ora non potrà partecipare a nessuna elezione per un anno.

La Quinta colonna Per il giornalismo indipendente o critico e per i difensori dei diritti civili è invece riservata l’etichetta di agente straniero” introdotta nel 2012. Prima veniva assegnata alle organizzazioni no-profit, poi ai media, e ora individualmente a giornalisti, politologi, blogger e avvocati che si esprimono contro l’attuale governo. Ufficialmente, lo status viene dato in caso di “finanziamenti dall’estero”, anche se provenienti da parenti che si trovano al di fuori dei confini russi. Viene assegnato senza prova e senza spiegazione. Coloro che ne sono destinatari vengono privati, tra l’altro, del diritto di ricoprire determinati incarichi e di organizzare eventi pubblici. Devono regolarmente riferire in dettaglio all’ufficio delle imposte su ogni spesa ed etichettare tutte le loro dichiarazioni pubbliche, altrimenti potrebbero affrontare accuse penali. Recentemente la legge sugli agenti stranieri è stata ampliata e ora lo status può essere conferito anche a coloro che non hanno ricevuto finanziamenti esteri, ma sono comunque “sotto influenza straniera”.

Oggi, circa 400 persone e organizzazioni che non supportano l’attuale regime sono riconosciute come “agenti stranieri”. Come è accaduto a uno dei giornalisti indipendenti più famosi in Russia, Yuri Dud, che fu anche riconosciuto colpevole di propaganda gay. Stessa sorte si è abbattuta sulla società educativa, caritativa e umanitaria “Memorial” che cercava di dare una valutazione legale delle repressioni politiche in Unione Sovietica. Ma, secondo il procuratore, “creava una falsa immagine dell’Urss come stato terrorista“.

Non solo politici, giornalisti e attivisti per i diritti umani sono sotto attacco, ma anche artisti e presentatori televisivi. Le agenzie di concerti russe hanno iniziato a includere una clausola nei contratti con gli artisti che vieta le dichiarazioni politiche dal palco, mentre la Duma di Stato – il Parlamento russo – ha proposto di licenziare celebrità che a suo dire non sono sufficientemente patriottiche. A inizio agosto, deputati e senatori hanno creato una commissione per indagare sulle attività anti-russe nel campo della cultura chiedendo, come primo provvedimento, di licenziare il presentatore televisivo Ivan Urgant del Primo Canale e il regista Alexander Molochnikov del Teatro Bolshoi in caso di mancato supporto ai militari russi in Ucraina. Tre settimane dopo, il Teatro Bolshoi ha rimosso Molochnikov dalle produzioni di balletto.

Oltretutto, dopo lo scoppio della guerra, la legge sull’alto tradimento è stata ampliata a tal punto che ora la comunicazione di qualsiasi cittadino russo con qualsiasi organizzazione straniera o internazionale può essere considerata spionaggio. Forse i più colpiti da questo provvedimento sono gli scienziati che ora vengono arrestati per i loro articoli .

Nel frattempo, gli insegnanti delle scuole sono stati sottoposti alla nuova censura “militare”. A Buryatia, un’insegnante di inglese è stata multata di 40.000 rubli (670 euro) per aver parlato con i ragazzi della guerra in Ucraina. Un procedimento penale è stato aperto contro un’altra insegnante per aver criticato “l’operazione speciale” e aver parlato della mancanza di libertà di parola in Russia durante la lezione. Ora rischia da 5 a 10 anni di carcere. Le nuove leggi hanno colpito anche i preti: nella regione di Kostroma, un sacerdote è stato multato di 35.000 rubli (580 euro) per un sermone contro la guerra.

Infine, alla gente comune viene tagliata ogni opportunità di esprimere la propria posizione. Durante le proteste invernali a sostegno di Navalny nel 2021, un attivista di Kaliningrad è uscito in strada con un cartello: “Sorridi se sei stanco di Putin”. Lo hanno condannato ad un anno in carcere. Da quando è iniziata la guerra, le proteste sono diventate semplicemente impensabili, rimangono solo picchetti solitari.

Le persone vengono multate e arrestate anche solo per aver scritto Non uccidere sulla neve o per aver esibito un foglio bianco. Tutto questo è considerato un discredito delle truppe russe come lo è anche riportare su un cartello una citazione di Putin risalente al 2018: “La guerra rende più facile coprire i fallimenti nella politica economica e sociale”. Le persone vengono arrestate per aver letto ad alta voce le poesie di classici russi sulla guerra o per essere usciti in piazza con il libro di Lev Tolstoj Guerra e Pace, o e anche per aver “supportato tacitamente” le manifestazioni.

Ancora peggio se qualcuno insulta i simboli non ufficiali di questa guerra. Così, un residente di Krasnodar è stato arrestato per aver sputato su un poster con la lettera Z ed è stato multato per “aver screditato l’esercito russo”. Si può anche diventare imputato in un procedimento penale per una conversazione privata: il primo arrestato in base alla nuova legge sulle “fake news” è stato un uomo la cui conversazione telefonica è stata semplicemente ascoltata.

Si potrebbe anche screditare l’esercito russo indossando gli abiti sbagliati, come una giacca con la scritta No War o le scarpe da ginnastica blu e gialle. In generale, i colori della bandiera ucraina sono stati quasi banditi dopo l’inizio della guerra. In Crimea, la polizia ha deciso di lanciare un avvertimento a una donna con la manicure blu e giallo e, in ogni caso, ha denunciato l’incidente all’FSB, i servizi segreti russi. A Pskov, un residente è stato costretto a ridipingere la sua recinzione blu e gialla a causa di associazioni “indesiderate”.

La repressione on line Almeno su internet la libertà di parola dovrebbe regnare, ma in Russia non è così da molto tempo. Recentemente, ad esempio, un blogger di 26 anni ed ex alleato di Navalny è stato condannato a sei anni e mezzo di carcere per diversi post critici nei confronti del regime pubblicati sul social network Vkontakte, tra cui un video umoristico che ritrae il presidente Vladimir Putin, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov e l’oligarca russo Igor Sechin a processo. Dall’inizio della guerra, i social network sono quasi diventati il luogo principale dove andare a caccia di dissidenti. Due studentesse sono state espulse dall’università a Mosca dopo aver pubblicato alcune storie su Instagram, dove hanno espresso la loro opinione sulle operazioni militari in Ucraina chiedendo la pace. È stato aperto un procedimento penale anche contro un giornalista che ha girato un reportage su attivisti perseguitati. In questo caso la sua colpa è stata quella aver pubblicato due post sulla sua pagina personale di Vkontakte che raccontavano del massacro di Bucha. Ora rischia fino a 10 anni di carcere.

Un po’ più fortunato è stato un medico di Sochi, che ha lasciato commenti su Facebook riguardo alle perdite dell’esercito russo. Il pubblico ministero ha chiesto per lui 6 anni di reclusione, ma se l’è cavata con una multa da 3 milioni di rubli (50mila euro). A Barnaul, un insegnante di filosofia ha messo una emoji triste sotto la notizia che un politico era stato condannato per aver “screditato l’esercito” e come risultato è stato multato. Poiché l’importo è quasi il doppio del suo stipendio mensile, gli è stato permesso di pagare a rate.

Attualmente, in Russia sono stati aperti 3.800 procedimenti amministrativi in ​​base alla legge sul discredito nei confronti dell’esercito russo e 80 procedimenti penali per diffusione di informazioni false sulle sue azioni. In totale, dal 24 febbraio, 224 persone sono state imputate in casi relativi alla guerra e quasi 17mila russi sono stati detenuti per aver protestato contro la guerra. E questo è solo quello che succede in campo legale. Da Anna Politkovskaya, assassinata nel 2006, all’attivista Salman Tepsurkaev, rapito torturato e infine ucciso in Cecenia nel 2020: sono diversi i casi di dissidenti che corrono rischi e vengono esposti alla repressione al di fuori delle procedure legislative.

Circa 7mila siti sono stati bloccati dalla fine di febbraio, ma i deputati della Duma si spingono oltre e propongono di incarcerare i russi i cui figli utilizzeranno la rete VPN nel caso in cui YouTube dovesse essere bloccato. Tutto questo sullo sfondo delle discussioni sul ritorno della pena di morte e delle proposte del Partito Comunista di intraprendere un percorso verso l’approfondimento del rafforzamento dell’alleanza con la Corea del Nord, perché “la Rpdc è un faro di vero socialismo per il mondo intero“.

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